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Il potere dei miracoli e i miracoli del potere nella Francia del Seicento

Philippe de Champaigne, Portrait of Mother Catherine-Agnes Arnauld (1593-1671) and Sister Catherine of St. Suzanne Champaigne (1636-86) the artist's daughter, 1662

Lo scontro, durato un’ottantina d’anni, tra la piccola comunità di religiose di Port Royal (due conventi, uno a Parigi, l’altro non lontano da Versailles) con il loro seguito di solitaires e sostenitori (tra cui Saint Cyran, sodale di Jansénius,  il teologo e filosofo Antoine Arnauld, strenuo difensore del convento, Blaise Pascal, le due sorelle, Angélique –la fondatrice di Port Royal moderno- e Agnès, più volte badesse, il direttore spirituale Singlin, il nipote di Jansénius, Barcos, il  poeta Racine, grandi dame della nobiltà come Mme de Longueville, passionaria della Fronda e amante di La Rochefoucauld, Mme de Sablé,  la regina di Polonia ecc.) e la Compagnia di Gesù, sostenuta dalla corona, ebbe termine nel 1713 quando la sede storica del convento fuori Parigi venne rasa al suolo. Fu un episodio apparentemente marginale, nato dall’interpretazione di un’opera del vescovo agostiniano Jansénius, all’interno della quale i suoi detrattori trovarono cinque proposizioni ritenute eretiche, che i “giansenisti”, come vennero chiamati i suoi seguaci per lo più vicini a Port Royal, accettarono di dichiarare non ortodosse, negando però che si trovassero nell’enorme in quarto del vescovo.  Lo scontro in realtà verteva tra una morale cristiana ascetica (i giansenisti) e una più vicina alle esigenze della moderna società, di derivazione umanista. Ben due papi, raccogliendo il malumore della Compagnia, si pronunciarono non senza ambiguità contro le cinque proposizioni, lasciando ai nemici di Port Royal mano libera nel pretendere la firma del cosiddetto Formulario, un documento che tutti i religiosi dovevano firmare per  attestare il rifiuto delle cinque proposizioni, sia in linea di diritto (la loro non ortodossia), sia di fatto (si trovavano nel testo di Jansénius). La ribellione delle suore nel nome della verità (le proposizioni erano eretiche ma non si trovavano nel libro di Jansénius), prefigurò, in certo qual modo, il fervore libertario e intransigente dei rivoluzionari di un secolo dopo,  influenzando non poco la storia della letteratura, da Pascal a Racine, da Manzoni a Sainte Beuve, che dedicò a Port Royal il suo capolavoro. Pascal aveva iniziato a scrivere la sua ardente requisitoria contro i gesuiti (nonostante i sequestri delle sue Lettere e gli arresti degli stampatori ebbe un successo clamoroso, primo esempio di “pubblicistica” radicale), quando avvenne un miracolo, subito accolto da Port Royal come un segno del favore divino.

Il miracolo della santa spina

Ventiquattro marzo 1656, venerdì di Quaresima e vigilia dell’Annunciazione (quel giorno l’introibo della messa prevedeva il salmo 85: Fac mecum signum in bonum): nella chiesa di Port Royal de Paris, alle tre del pomeriggio, si tiene una solenne cerimonia per l’adorazione della santa spina, una reliquia provvisoriamente traslata nel convento. Dopo aver cantato i Vespri e gli Inni della Passione, la comunità delle religiose sfila in rigoroso ordine gerarchico sul piccolo altare improvvisato nel coro davanti alla grata di ferro aperta: madri, professe, converse, novizie, postulanti, pensionate baciano, dopo essersi inginocchiate, la reliquia incastonata in un cuore di smalto dorato. Tra queste ultime c’è Marguerite Périer, dieci anni, figlia di Florin e Gilberte Périer, sorella di Blaise Pascal, che soffre di una grave fistola lacrimale. Quando arriva il suo turno, suor Flavie, coadiutrice delle pensionate, la invita ad accostare la reliquia all’occhio malato: Bambina mia, fate toccare a questa santa reliquia il vostro occhio. Tornata al suo posto, la bambina si accorge che l’occhio non le fa più male, ma solo verso sera suor Flavie (nella sua deposizione però la notizia le viene data da un’altra pensionata un’ora dopo: Sorella, la sorella Marguerite Périer non ha più male all’occhio da quando ha baciato la santa reliquia. Andate a vederla al più presto) constata che il gonfiore è scomparso e riferisce subito il fatto alla badessa, la Mère Agnès. Trascorre una settimana. Il venerdì successivo, ultimo giorno del mese, il medico curante di Marguerite, il chirurgo Martin Dalencé, accerta l’inspiegabile guarigione. E’ miracolo.

Quasi due secoli dopo, Sainte Beuve, l’enigmatico cantore di Port Royal, avrebbe commentato con fastidio: I giansenisti vi videro il trionfo della loro causa: io vi vedo soprattutto l’umiliazione dell’intelligenza umana. Era stato preceduto da Voltaire, che trovava bizzarro il fatto che Dio: che non fa miracoli per portare alla nostra religione i tre quarti della terra… abbia davvero interrotto l’ordine naturale in favore di una bambina, per giustificare una dozzina di religiose che pretendevano che Cornélius Jansénius non avesse scritto una dozzina di righe che gli venivano attribuite, o che le avesse scritte con intenzioni diverse da quella che gli rimproveravano. Anche Montesquieu si era indispettito per la meschinità di chi, Port Royal al completo, aveva pensato di tirare dio per i capelli, immischiandolo in una disputa umana, costringendolo a schierarsi con una delle parti. Ma tutti erano stati preceduti dai gesuiti, quelli su cui il miracolo, o meglio le sue conseguenze, si sarebbero abbattute con effetti rovinosi. Padre Rapin, a cui nel 1667 la Compagnia, in un periodo di relativa tregua con Port Royal, avrebbe affidato il compito di riscrivere la storia di quella guerra insensata, liquidava il miracolo (la pretesa guarigione), prima come l’ennesimo artificio, da affiancare alle menzogne delle Provinciales, poi negando che il miracolo potesse in qualche modo convalidare (impresa visionaria) le tesi di Port Royal, già sconfessate da Roma, alla fine facendo ricadere su Pascal, zio della miracolata, il sospetto di un interesse anche troppo evidente proprio mentre scriveva le sue deliranti e menzognere lettere. Ma il padre Rapin, come quasi tutti coloro che si lasciano portare dalla polemica, andava oltre, finendo involontariamente col dare ragione a quanti, da Voltaire a Sainte Beuve, avrebbero scosso la testa, non solo davanti a quel miracolo, ma ai miracoli in genere: [il miracolo] attirò un grande concorso di popolo, popolo che è sempre disposto a credere in qualcosa di straordinario e è favorevole ai miracoli senza discernimento, per la sua inclinazione verso ogni nuova forma di devozione, in particolar modo per quelle in cui ha un interesse, come le guarigioni, in cui ciascuno spera quando si trova infermo.

Le cose erano andate così. Proprio davanti alla chiesa parigina di Saint Jacques du Haut Pas, famosa per i suoi organi e per aver dato sepoltura a Saint Cyran, viveva, appartato e in odore di santità, un sacerdote, Pierre Le Roy de la Poterie, il cui fratello Antoine era stato segretario del filosofo Pierre Gassendi. Aveva preso gli ordini dopo aver ricoperto l’incarico di tesoriere per le spese straordinarie di guerra, ufficio di non trascurabile importanza in un periodo di venalità delle cariche, e in seguito, si diceva, aveva rifiutato una sede vescovile. Molto vicino alla comunità di  Port Royal (nel 1625 aveva generosamente finanziato le prime suore che si erano installate a Port Royal de Paris e alla sua morte, a ottantaquattro anni, venne sepolto a Port Royal des Champs), aveva costruito una cappella in cui andava raccogliendo tutti gli esemplari della sua singolare collezione di reliquie sacre, che faceva incorniciare senza badare a spese.  Tra queste reliquie spiccava una spina di quella corona della Passione di Nostro Signore, per ospitare la quale Luigi IX, il re santo che l’aveva acquistata a Venezia nel 1239, aveva edificato la Sainte Chapelle. Il buon prete, indomito collezionista, l’aveva avuta da Maria de’ Medici in persona.  La reliquia era già stata venerata altrove, in particolare, poco prima del fatidico venerdì, era stata esposta nel convento delle carmelitane (qualcuno insinua che La Poterie abbia preteso l’ostensione della reliquia perché in gennaio l’abate di Pontchâteau aveva offerto a Port Royal la reliquia di una santa spagnola, conservata proprio dalle carmelitane parigine: una ripicca da collezionista). L’appuntamento della reliquia con la storia doveva però avere luogo nel faubourg Saint Jacques, a due passi dalla sua sede naturale.

Quel mese di marzo se lo sarebbero ricordato in tanti e per svariati motivi. L’anno era iniziato male per Port Royal: erano morte otto suore a Parigi e una a Port Royal des Champs; il quattordici gennaio la Sorbona aveva condannato Arnauld sulla questione di fatto, il trentun gennaio, dopo molte sedute con clamori, secessioni, intrighi, minacce e qualche spintone, alla presenza del cancelliere Séguier, il grande Arnauld era stato battuto anche su quella di diritto. Tra il diciotto e il ventidue marzo, per ordine del re, era iniziato lo sgombero da Port Royal des Champs dei solitaires e degli allievi delle Petites Ecoles, rallentato solo dai dispacci dell’infaticabile Arnauld d’Andilly, fratello di Angélique e Agnès, dalle sue pazienti pressioni sul Cardinale Mazzarino (per altro del tutto indifferente a una bega di cui, come il papa, capiva poco o niente) con la mediazione del vescovo di Coutances.  Il venti marzo, il parroco di Saint Merri, roccaforte giansenista, sostenuto dalla corte, aveva fatto interdire i sacerdoti più compromessi con Port Royal, Feydeau e Marcan, che avrebbero dovuto lasciare Parigi. Il cerchio si stringeva. Il giorno prima del miracolo, la duchessa di Chevreuse avvertiva d’Andilly, il diplomatico di Port Royal (l’unico tra tanti intransigenti), che doveva a sua volta subire un piccolo esilio a Pomponne, ma per addolcire la notizia, aggiungeva che la regina, trepidante, aveva chiesto: d’Andilly mi vorrà ancora bene? Il ventitre gennaio Pascal aveva rotto gli indugi, portando lo scontro con i gesuiti su un terreno inusuale, quello della pubblica opinione, dove, come l’improvvisa carica di Kellermann a Marengo, ha scritto sornione Sainte Beuve, avrebbe ribaltato l’esito della battaglia: il venti marzo era uscita la sesta Provinciale e tutta la Francia cominciava ad appassionarsi, caso unico nella storia, alla più sofisticata delle dispute teologiche, iniziando a schierarsi dalla parte dei perdenti.

Il trenta maggio 1656, su istanza del promotore generale della diocesi di Parigi, da cui Port Royal  dipendeva dal 1627, André du Saussay, vescovo di Toulet e vicario del cardinale di Retz, inizia a interrogare Marguerite, suo padre, gli zii Blaise e Jacqueline, e via via medici e suore, per accertare la veridicità dell’accaduto. Le deposizioni, molto circostanziate, concordano in tutto.  Il male di cui soffriva Marguerite si era manifestato circa tre anni e mezzo prima quando viveva in famiglia a Clermont. I medici avevano diagnosticato una fistola lacrimale e, dal momento che si era aggravata, avevano ritenuto che l’unica terapia consistesse nell’applicare un bottone di fuoco sull’angolo interno dell’occhio. I Périer avevano quindi iniziato a consultare oculisti e chirurghi parigini, che avevano confermato (per posta) la diagnosi e l’ineluttabilità dell’intervento. Sconfortati, avevano portato Marguerite e la sorella maggiore a Parigi, alloggiandole in un primo momento  in casa del cognato Blaise Pascal. Proprio quando l’operazione era stata ormai concordata con il medico Renaudot e il chirurgo Dalencé per la primavera del 1654, motivo per il quale le due sorelle erano state messe nel pensionato  di Port Royal, si  era presentato un guaritore di nome Châtillon, che aveva promesso di restituire la salute alla bambina con sei mesi d’impacchi. I genitori, che si erano informati sulla pericolosità del trattamento con il fuoco e sulla sua inutilità presso la duchessa di Savoia, che aveva sofferto dello stesso male, accettarono di buon grado la nuova cura, ripetendola per circa un anno e mezzo senza alcun beneficio e nello scetticismo più totale dei medici, che definirono Châtillon un ciarlatano. Ma in cosa consisteva  esattamente il male? In una continua lacrimazione dell’occhio che con il tempo aveva dato luogo a un rigonfiamento dello spessore di una nocciola, che premuta rilasciava (la testimonianza più precisa è quella di suor Flavie) un liquido chiaro come acqua, poi più giallo e alla fine quasi verde, che dall’occhio, attraverso il naso, si riversava in gola. Un’altra suora, Marguerite de Hacqueville, sosteneva che il pus si presentava a volte bianco e a volte rosso. La povera Marguerite aveva progressivamente perso l’olfatto ed emanava un odore insopportabile. Dalencé aveva ammonito Florin Périer che se non si interveniva la malattia, che aveva già cariato l’osso, poteva condurre alla cecità, alla caduta del naso e infine alla morte. Florin aveva acconsentito per la primavera del 1656, ma da gennaio Marguerite era peggiorata, non dormiva, aveva una febbre costante, era stata costretta a interrompere il digiuno quaresimale. Agli inizi di marzo il chirurgo, alla domanda se la malattia fosse contagiosa, aveva risposto che il pus poteva infettare le compagne e la bambina venne messa a dormire in una stanza separata. Secondo i testimoni, dopo ogni pressione la nocciola tornava a gonfiarsi nel giro di pochi minuti (il tempo di un pater). Né mancavano nelle descrizioni delle suore i dettagli più spiacevoli, come quello dei fazzoletti impiegati per la spremitura, che andavano cambiati in continuazione ed emanavano a loro volta cattivo odore anche dopo essere stati trattati con la lisciva, così che, oltre alla segregazione della malata, dovevano essere lavati a parte e segregati anche i fazzoletti. Suor Marie Perdreau de Sainte Dorothée, formidabile osservatrice, aveva sostenuto che quando pettinava la piccola Périer, dai capelli della ragazzina usciva una specie di olio maleodorante, il cui olezzo permaneva sulle mani anche dopo averle lavate. Comunque sia, per la quaresima i medici avevano prescritto una dieta a base di carne (ma in altre versioni la dieta comprende minestre grasse e uova) e due purghe la settimana.

Plan of Port-Royal-des-Champs, engraving by Louise-Magdeleine Horthemels, c. 1710

Il quattordici aprile, i medici curanti sottoscrivono un documento che, dopo aver confermato i sintomi, la prognosi e il decorso della malattia, si conclude con il riconoscimento dell’origine soprannaturale della guarigione (Henri Gouhier, non senza ironia, la definirà: diagnosi medica del miracolo). Ma fin dall’inizio, a parlare di miracolo sono proprio i medici, anzi, davanti alla iniziale prudenza o reticenza delle autorità di Port Royal, si direbbe che sono solo loro. Negli infiniti Mémoires che, in epoche diverse, rievocheranno la vicenda (la vita di Port Royal è scandita da un incessante fruscio di carta scritta: traduzioni, omelie, relazioni, saggi, riflessioni, biglietti, lettere, memoriali, memorie, verbali. Al centro la Parola, attorno sciami di parole), pur con lievi divergenze temporali e qualche tocco di colore in più o in meno, tutti sono d’accordo: furono i medici a gridare per primi al miracolo. Secondo Fontaine, Dalencé, che avrebbe dovuto operare Marguerite il venticinque marzo, apprestandosi all’intervento si accorge che non c’è più traccia del male ed esclama: Ma cosa devo vedere! Dio mio, voi non volete che mi guadagni da vivere. In questa casa i mali sono come un uccellino sulla mano; quando si vorrebbe toccarlo, vola via. Signore, Signore –dice rivolto a M. Bienaisé, qui c’è un intervento divino: bisogna rendere testimonianza alla verità che vediamo chiaramente con i nostri occhi. Più precisa e più sobria Jacqueline Pascal, la zia e religiosa del convento, riferisce che la visita del medico avviene il trentun marzo, e alla fine dell’ispezione con spatola e sondino Dalencé dice: Non c’è assolutamente niente. Florin Périer, che il ventiquattro marzo riceve una lettera della cognata in cui lo avverte che il male è peggiorato, arriva a Parigi il quattro aprile per assistere all’operazione e scopre che la figlia, che vede il giorno dopo,  è guarita. Anche un altro medico, a conoscenza del caso, Isaac Renaudot, chiamato a Port Royal per visitare una malata il ventisei, grida al miracolo dopo aver visto (controvoglia perché ha fretta) la piccola Marguerite.  Più tardi il chirurgo e il medico del re attesteranno a loro volta la guarigione miracolosa.

I medici prendono atto del miracolo con lo scrupolo  professionale con cui hanno descritto i sintomi della malattia: noi attestiamo che essa [la guarigione] oltrepassa le forze ordinarie della natura, e che non può essere avvenuta senza miracolo, cosa che assicuriamo essere vera.  E quando alla fine dell’istruttoria, anche il vicario di Parigi André du Saussay deposita le conclusioni (domenica ventidue ottobre 1656) della sua indagine, non fa che riportare come prova del miracolo le parole dei medici: essi pensano che essa [la guarigione] superi le forze ordinarie della natura e non sia potuta avvenire senza miracolo; e questo affermano essere la verità. Il ventotto ottobre la Gazzetta di Corte registra l’approvazione del miracolo, con lo stesso gergo imperturbabile con cui i funzionari pubblici annotano ogni fatto amministrativo. Il miracolo della Santa Spina è, si potrebbe dire, miracolo di stato.

Ma chi sono gli attori, le comparse, le ombre che si muovono attorno al miracolo e alla miracolata? Iniziamo dai medici che hanno a più riprese visitato Marguerite e hanno firmato il certificato di avvenuto miracolo. Di Martin Dalencé si sa poco o niente, chirurgo illustre viene sempre definito, e questa fama lo accompagna senza un’ombra di sospetto ma neppure di riscontro; Charles Bouvard era stato il medico personale di Luigi XIII e aveva assistito alla nascita di Luigi XIV, medico di corte dunque, che sembra aver esercitato una interminabile tirannia sulla facoltà di medicina di Parigi, pur non avendo particolari legami con Port Royal, nel giorno di Pasqua del 1628 era stato testimone di un’altra guarigione miracolosa, quella di Magdeleine Marion; poco si sa anche di Etienne Guillart, se non che è uno dei medici di Port Royal. Il personaggio più interessante di questi luminari è Jean Hamon, brillante letterato all’inizio, ottimo versificatore in lingua latina (non se ne dimenticherà, visto che sarà l’autore di tanti necrologi di Port Royal) e stimato medico poi alla Facoltà di medicina. Anche lui attratto nell’orbita della parrocchia di Saint Merri, dove uno dei curati, Duhamel, è un discepolo di Saint Cyran, accetta la direzione spirituale di Singlin. Nel giugno del 1649 vende la sua fornita biblioteca e diventa uno dei solitaires. Prima giardiniere e segretario di Arnauld, alla morte del medico ufficiale del convento, Pallu, viene costretto a prenderne il posto, non senza molte resistenze da parte della piccola comunità, dato il carattere imperioso e l’intransigenza in fatto di diagnosi e terapie. Già implicato nella guarigione miracolosa di una pensionata scozzese nel 1655, si occupa tra l’altro dell’educazione del giovane Racine. Forse la sicurezza gli gioca un brutto tiro quando (l’episodio è riportato nei Mémoires di Feydeau) il primo gennaio 1658, dovendo curare Philippe Marcan, malato di depressione dopo aver ricevuto, come abbiamo visto, la lettre de cachet che lo cacciava da Parigi, gli somministra una non meglio specificata pillola e  il prete cade morto stecchito. Perseguitato come gli altri durante la repressione, verrà alla fine sepolto, per sua espressa volontà, senza bara, come un povero qualsiasi. L’abate Rancé aveva composto per lui l’epigrafe ideale: Era buono per le anime come per i corpi. Medici illustri, personaggi singolari. Ma non per la lingua affilata di Guy de Patin, che in una lettera del sette novembre 1656 a Charles Pon, a proposito dei medici firmatari del documento che attestava il miracolo, scrive: Quel bravuomo di Bouvard è così vecchio che gli manca poco per essere rimbambito (parum abest a delirio senili). Hamon è il medico ordinario e domestico di Port Royal des Champs, da ritenere dunque sospetto. Gli altri due [Renaudot] sono sempre stati dei buoni a nulla, e anche il più vecchio dei due è un medico consueto di Port Royal di Parigi, nel faubourg Saint Jacques. Dunque, perché non manchi niente alla follia del secolo, ecco cinque chirurghi barbieri che hanno sottoscritto il miracolo. Ecco gente davvero in grado di discernere qualcosa che può superare le forze della natura; dei servi rivestiti e con tanto di stivali, che non hanno mai studiato niente.

Anche André du Saussay, allievo dei gesuiti (ironia della sorte), grande mallevadore ecclesiastico del miracolo della santa spina, ha un’antica consuetudine con Port Royal. Nel 1644 vi era stato inviato per controllarne le pratiche religiose e nella sua relazione aveva confermato la correttezza del magistero e dell’opera di Saint Cyran. Ammiratore della Mère Angélique, aveva assistito nel 1647 alla cerimonia con cui le religiose adottavano il nuovo abito bianco con la croce rossa, ritratto in tanti quadri da Philippe de Champaigne. Molto ascoltato da Singlin, iniziava in quegli anni la sua rincorsa al vescovato di Toul, prima concessogli dal re, poi sospeso a tempo indefinito da Roma. Da quel momento la sua condotta sarebbe diventata un difficile gioco d’equilibrio e funambolismo tra Roma e Parigi, la cui meta ultima era l’agognato vescovato. Questo spiega perché, nel peggiorare dei rapporti tra Port Royal e la curia romana, aveva raffreddato i suoi legami con il convento in odore di giansenismo, ma senza rompere, per prudenza,  con il più vasto schieramento agostiniano. L’Assemblea del clero, intenta a sua volta a barcamenarsi nello scontro tra il cardinale di Retz (in prigione) e il re, aveva suggerito al cardinale di nominare come suo vicario a Parigi proprio quel vescovo di scelta regia ma senza vescovado, cosa che Retz, improvvidamente, aveva fatto il due gennaio 1656. Con Toul sempre in testa, Saussay aveva scaricato quasi subito Retz per compiacere il re e il papa, e obbedito all’ordine di farsi esecutore della cacciata dei solitari e delle suore da Port Royal,  ordine che solo il provvidenziale miracolo aveva attenuato se non sospeso. In maggio Retz gli aveva revocato la fiducia, approfittandone per mettere Singlin a capo dei due Port Royal (il cardinale di Retz, scomodo protettore dei giansenisti, sarà la vera causa dell’irrigidimento della corona e di Mazzarino nei loro confronti), papa e re si erano opposti,  e così, ripagato di tante traversie, il nove giugno 1657 Saussay sarebbe entrato finalmente  a Toul (in calce all’escussione dei testimoni, un anno prima, si  era già firmato vescovo di Toul, mentre quando aveva dovuto firmare il solenne riconoscimento del miracolo, più modestamente, aveva fatto riferimento solo alla sua qualifica di vicario del cardinale)  dove morrà nel 1675, senza più voler sentire parlare dei giansenisti e delle loro insopportabili dispute.

Blaise Pascal

Il personaggio però più inquietante e, per molti versi, decisivo dell’intero affaire, è Catherine de Sainte Flavie Passart, la suora che spinse la sofferente Marguerite a mettere la santa reliquia sull’occhio malato. Destinata in seguito a giocare un ruolo importante  nella drammatica stagione della firma del formulario, bollata alla fine come “traditrice”, era entrata da professa a Port Royal nel 1625 come le altre Passart (famiglia originaria di La Ferté Milon, da dove venivano anche i Racine): Suzanne, Anne, Marie. Poiché le era stato rifiutato l’abito nel 1627 (pare per una certa instabilità di carattere), era migrata verso la vicina abbazia di Gif, dove lo aveva ottenuto tre anni dopo. Tornata a Port Royal nel 1648, dal 1654 aveva partecipato alle elezioni delle badesse, fino a diventare nel 1661 responsabile delle pensionate, di cui però nel 1656, come abbiamo visto, si occupava già, sia pure in posizione subalterna. Suor Flavie apparteneva a quel genere di persone che si possono solo amare o odiare. Anche all’interno di Port Royal, e prima della spaccatura, c’era chi la stimava (Singlin stesso, Rebours, la Mère Agnès, Geneviève Le Tardif, l’ala romantica, incline a una visione più ingenua e popolare della religione), e chi la rifiutava (Arnauld, Nicole, la Mère Angélique de Saint Jean), vale a dire l’ala più severa e raffinatamente intellettuale. Suor Flavie aveva una lunga confidenza con il soprannaturale. Ancora bambina era stata guarita miracolosamente da dom Warnier, che per primo le aveva parlato della Mère Angélique e anni dopo, durante una delle sue frequenti malattie mortali, era guarita bevendo l’acqua in cui un sacerdote aveva immerso il rosario di Frère Antoine, un contadino che Port Royal venererà come taumaturgo.  Anche per guarire da una dolorosa  colite berrà di nuovo acqua, in cui questa volta il pietoso Le Maître aveva immerso una mano di Saint Cyran (sua reliquia personale dopo la morte del religioso). I racconti che narrava alle piccole collegiali, per ammonirle ed edificarle (ma anche per spaventarle) erano pieni di visioni, diavoli e maghi e la sua devozione, simile al collezionismo di La Poterie ma molto più sinistra, si spingeva a parossismi di rara meticolosità, come annota una sua involontaria biografa: era così folle da conservare come reliquie le pulci che trovava sulla Mère Angélique, perché contenevano il suo sangue. Per tutta la vita rimase fedele ai grandi numi tutelari del convento: possedeva un’intera collezione di frammenti del cranio di Saint Cyran, pezzi del cuore di Singlin e un biglietto di suo pugno. Quando qualcuno era malato, o per sé, utilizzava ogni sorta di reliquia che applicava o immergeva nell’acqua (dopo ogni malattia, invece di chiedere se era guarita, le suore chiedevano che santo l’ha guarita?). Se non erano le reliquie erano le preghiere a fare miracoli, o una singolare incarnazione di entrambe: per l’ennesima volta in punto di morte, era stata salvata dal breviario di Le Maître. Suor Flavie faceva miracoli con la stessa facilità con cui un’altra avrebbe appuntato uno spillo sul tombolo e una volta, in mancanza di malattie, si era divertita a far fiorire in pieno inverno un ramo di rose che aveva messo nella sua cella davanti all’immagine di Saint Cyran. I suoi divertimenti però non erano quasi mai così innocenti, come quando aveva improvvisato una lugubre processione con il cuore di Bagnols, incredibilmente conservato, allo scopo di mettere in fuga il diavolo. Non stupisce dunque che subito dopo che Marguerite ebbe baciato la reliquia della santa spina, stringendola all’occhio, una religiosa abbia sussurrato: Se la piccola guarisce, questa volta dirò che suor Flavie fa i miracoli. Ingenua confessione di fiducia in chi troppe volte aveva visto attorno a sé lo scetticismo che circondava la suora guaritrice, o sarcastico pensiero di sfida?

Una cosa è certa: a Port Royal i miracoli erano di casa fin dal diciannove aprile 1628, quando la Mère Angélique, con la sola forza della preghiera aveva ottenuto la guarigione di Marion de Druy, suor Magdeleine des Anges, nipote materna, che da cinque anni era privata dell’uso delle gambe. La giovane (che qualcuno ha confuso con la sorella, Catherine de Saint Alexis, morta a sedici anni) era entrata come pensionata a Port Royal des Champs nel 1624 e tre anni dopo si era ammalata di tosse cronica, invano curata da Charles Bouvard. Nel novembre del 1627, dopo aver indossato nel suo letto l’abito religioso, aveva ricevuto l’estrema unzione e per diciotto ore era rimasta in coma, ma un amico di famiglia, profetico, le aveva detto: Dio sarà il vostro medico. Quando si era ripresa, dopo spaventose convulsioni, un altro medico, Juif, aveva sentenziato che i nervi si sono ritirati e che sarebbe rimasta zoppa e gobba. In effetti era rimasta per un anno e mezzo a letto in una strana posizione a S, con l’estremità inferiore del corpo fuori dal letto, appoggiata a uno sgabello. Esortata dalla Mère Angélique, in aprile aveva pronunciato il voto solenne di dedicarsi a dio. Il sabato di Pasqua del 1628, a Robert Arnauld d’Andilly, colpito da tanta devozione, era mancato il coraggio di dirle che comunque non poteva più camminare. Il lunedì santo, dopo la messa, la Mère Angélique le aveva intimato di alzarsi nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo del Santo Sacramento. Magdeleine si era alzata e aveva camminato. Dopo altri cinque giorni era scomparsa anche la tosse. I medici avevano accertato l’avvenuto miracolo, anche se questo verrà formalizzato solo nel 1663, quando undici religiose, tra cui suor Flavie, testimonieranno per iscritto. Magdeleine fu una delle suore che si rifiutarono di firmare il formulario.

Port-Royal-des-Champs

Cos’è un miracolo? Secondo San Tommaso è ciò che è compiuto da dio fuori dall’ordine di tutta la natura creata.  In ogni miracolo bisogna distinguere l’effetto meraviglioso che esso ha sugli uomini, ma questo riguarda anche tutti quei fatti prodigiosi (mirabilia) che altri possono compiere, dalla causa insondabile che certamente lo ha prodotto. In altre parole, il miracolo non deve dipendere dalla nostra ignoranza delle cause, ma dall’assoluta impossibilità che una qualsiasi causa naturale lo abbia generato, almeno in quella successione e modalità. Per quanto riguarda il fine, il miracolo ha una funzione apologetica (confermare l’autorità della dottrina e di chi si fa tramite del miracolo, che rimane sempre e comunque una prerogativa di dio) e una teologica, che consiste in una eccezionale conoscenza dei misteri della fede. Il miracolo è un segno che allude a cose lontane, un fatto che nel suo precario e instabile equilibrio tra il mostruoso e l’ingenuo, si apre a un’improvvisa e insperata epifania (in Virgilio l’apparizione del divino può essere un impercettibile, fulmineo bagliore: Dixit et avertens rosea cervice refulsit).  Da un punto di vista teoretico il miracolo è tale solo per l’uomo. Se dio è la causa ultima, il modello supremo dell’essere, allora nel suo intervento non c’è mai niente di straordinario (oppure: tutto è sempre straordinario, come appare nella metafisica di Malebranche), egli non fa che riprendersi una prerogativa che solo temporaneamente (nel tempo appunto) ha demandato alle cause seconde, i suoi agenti esecutivi. Come qualsiasi sovrano può ritirare la delega ai suoi fiduciari, ma non per questo viola la norma: e come potrebbe, essendo lui stesso la norma? Nei miracoli di Port Royal tutto questo è accettato con quieta coscienza, perché Port Royal, come ogni movimento eretico o sospetto di eresia nella storia della Chiesa, è profondamente conservatore. Non si ammettono correzioni, aggiustamenti, concessioni al mondo. Il nuovo modello di ragione, quello che lentamente e invincibilmente si sta affermando, e che da lì a poco travolgerà non solo un piccolo convento di suore, ma tutta un’epoca che ancora sembra intatta nel suo sfarzoso meccanismo da carillon, modello ben assecondato dalla Compagnia di Gesù (non è già in gran parte lì, in quelle posizioni scettiche e prudenti, così ragionevoli, così moderate, così ben viste dal mondo, l’aurora dell’illuminismo?), non avrebbe mai più accettato gli infantili miracoli di Suor Flavie, l’insopportabile naivité di quelle vergini folli che riconoscevano un’unica vera medicina, quella di dio, fatta, secondo un’affettuosa e ironica formula di tre secoli dopo, di decotti di preghiere e pillole di penitenza.

Abbey of Port-Royal, General View by Louise-Magdeleine Horthemels c. 1710

Il miracolo, come osservava Gregorio Magno, ha un valore parenetico: Infatti con lo studio delle Scritture si apprende come si debba raggiungere e preservare la virtù, mentre col racconto dei miracoli veniamo a conoscere come, una volta raggiunta e preservata, la virtù si manifesti apertamente. Alcuni del resto sono infiammati all’amore della patria celeste più dagli esempi che dagli insegnamenti.  Come nelle vivaci e colorate figurine di Giotto, anche nei Dialogorum Gregorii papae libri quattuor de miraculis patrum italicorum, prevale la funzione edificante, di sprone al retto agire, di exemplum, che i miracoli assolvono in modo fantasioso e romanzesco, inscenando massi che si arrestano poco prima di precipitare su un convento e lì rimangono a monito perenne, acqua messa nelle lampade e tramutata in olio, moltiplicazioni di pane, olio, vino, denari, la liberazione di una donna invasa da una legione di demoni, caraffe avvelenate che si rompono al segno della croce, frati che corrono sull’acqua, ma anche la più modesta pioggia che santa Scolastica evoca dal nulla per trattenere ancora un po’ con sé  in convento l’amato fratello Benedetto. Il miracolo è contagioso e dà il via al desiderio inesausto di miracoli (così Pietro, l’interlocutore di Gregorio, riferendosi a san Benedetto: più bevo dai miracoli di quel sant’uomo e più ho sete): anche Port Royal (nella sua ingannevole estate di San Martino) conosce dopo il miracolo della santa spina una fioritura di miracoli che non ha niente da invidiare alle rose di suor Flavie. I miracoli di Port Royal però, hanno poco di  pittoresco e non ricordano nemmeno lontanamente la spensierata e quasi ribalda allegria di quelli narrati da Gregorio Magno (o la differenza sta nei loro cronisti?), sembrano piuttosto dettati da un cupo accanimento della provvidenza, come se uno scienziato testardo, circondato da scettici, volesse ripetere lo stesso esperimento per convalidare, con il più severo dei protocolli, le sue ipotesi. Il miracolo come, letteralmente,  experimentum crucis.

Tra gli innumerevoli cronisti di Port Royal, spicca Antoine Baudry de Saint Gilles d’Asson, discendente da un’illustre e potente famiglia vandeana, che aveva dato braccia e sostanze al tempo delle guerre di religione (più indietro nei secoli un avo aveva ucciso nientemeno che il diavolo). Ritiratosi a Port Royal, dove divenne un umile e apprezzato falegname (anche Luigi XVI, poco più di un secolo dopo, si sarebbe dedicato anima e corpo al bricolage), nei suoi Mémoires e nelle sue lettere a Florin Périer, raccoglie un intero repertorio di miracoli germinati prodigiosamente e quasi a ridosso uno dell’altro. Si incomincia con Madame de la Vieuville, religiosa, coadiutrice di Notre Dame de Meaux, idropica, da dieci mesi immobilizzata a letto, ventre e fegato duri come pietre, guarita nel dicembre del 1656, dopo un violento mal di denti.  Le era stato sufficiente il tocco di uno dei panni che in quei mesi il convento distribuiva con solerzia pari solo alla pietà  (la Mère Angélique si sarebbe lamentata che la suora addetta a questo singolare traffico di panni, immagini e rosari venuti a contatto con la reliquia miracolosa, non riusciva a soddisfare tutte le richieste). Nel caso di Madame de la Vieuville, come in quasi tutti gli altri, la prassi voleva che il tocco dell’oggetto taumaturgico fosse accompagnato da una novena, da tenersi nel luogo in cui risiedeva l’infermo e preferibilmente a Port Royal, in perfetta sincronia. Naturalmente la miracolata, in segno di riconoscenza, si era recata il giorno dopo a Port Royal con il suo piccolo ma illustre corteo di carrozze (tre), in cui sedevano il principe e la principessa di Conti, Madame de Nemours e la principessa Palatina. Tre giorni dopo la guarigione, Mazzarino in persona fa chiedere al convento (divenuto una vera fabbrica di miracoli) un panno per la sorella Madame Mancini, molto malata, e che morirà ugualmente, lasciando lo scettico padrone della Francia ancora più scettico. Guarisce invece, a dispetto del malaugurante cognome, la marchesa de Crévecoeur; guarisce il nipote del vescovo di Arles (vi lascio immaginare che rumore farà presso i nostri nemici); guariscono due religiose di Provino (ma le autorità convalidano una sola delle due guarigioni). Un caso più grave, in cui sono coinvolti anima e corpo, dunque fuori dalla giurisdizione medica che può solo riconoscere il sovrannaturale ma non influire su di esso, è quello di una donna posseduta e infestata, già liberata mediante esorcismi dalla possessione, ma non dall’infestante, il quale suggerisce se stesso la via per abbandonarla: applicare la santa spina. Ma ci vorranno ben nove applicazioni perché questo riesca, e non senza che durante l’ottava la poveretta perda una pinta e mezzo di sangue dal naso. Nel bosco di Vincennes vive un falconiere che un giorno si reca a Port Royal con il figlio di soli dieci mesi, che sta morendo per una forte febbre e che da quattro giorni non succhia più il latte. Nella sacrestia della chiesa trova Singlin che si appresta a celebrare la messa, lo supplica di aiutarlo, ha già perso allo stesso modo due bambini. Il sacerdote promette che se ne ricorderà durante la messa e fa baciare la santa spina al bambino anche se non è il giorno canonico (di regola il venerdì). Subito dopo il bacio, il bambino si rianima e il padre esclama: Il mio bambino è guarito! La settimana successiva lo riporta in chiesa vivo e vegeto, e da quel momento la sua modesta casa è meta di un pellegrinaggio ininterrotto di membri della corte che si trovano appunto a Vincennes (Mazzarino al solito fa fare indagini e soprattutto, sospettoso, vuole conoscere il nome del prete guaritore). Il raggio di azione della santa spina, grazie ai panni benedetti, è molto ampio. Portato qua e là per la Francia, il farmaco divino opera con infallibile prontezza. A Rouen la moglie di un funzionario pubblico, debilitata dalla febbre e dall’idropisia, dopo inutili tentativi di recarsi a Port Royal (per quanto su brevi percorsi, viaggiare a quell’epoca non era facile né molto veloce, tranne che per la solita suor Flavie che, grazie a un cocchiere di sospetta origine demoniaca,  aveva percorso un tragitto che agli altri richiedeva due giorni in sole due ore), cade in agonia, e mentre i medici si affannano inutilmente attorno a lei, arriva il panno miracoloso: cessano rantolo e vomito, chiede subito di mangiare e il giorno dopo è in piedi perfettamente ristabilita. Il tornado dei miracoli non risparmia neppure le roccaforti dei gesuiti: una giovane religiosa del convento di Haute Bruyère, retto dai bons pères, a letto da un anno, così inferma da non poter prendere neppure la comunione, fa chiedere il panno benedetto e indire due novene, l’ultimo giorno della novena guarisce e può unirsi alle consorelle per cantare il Te Deum.  Particolare inquietante: nella sua relazione, il medico attesta che era stata salassata 120 volte. Guariscono la mano paralizzata di una religiosa di Isle à Auxerre e la fistola lacrimale di una donna di rue du Jour a Parigi, dopo che per nove venerdì di seguito si è recata a baciare la reliquia. In tanta pioggia di manna, l’espressione è di Saint Gilles, c’è anche chi, come i certosini, fa incetta di panni benedetti non per un  bisogno immediato, ma per farne una ragionevole scorta. Una professa dell’Hotel Dieu, Madeleine de la Passion, ha una cisti sul ginocchio grande come un uovo, i medici al solito vorrebbero inciderla, un chirurgo tenta un rimedio meno pericoloso, mettendo sul ginocchio delle mosche cantaridi che però hanno come effetto di infiammare la cisti, vengono applicati allora il panno e un’immagine benedetta e viene indetta una novena. L’ultimo giorno della novena, san Mauro, uno dei santi dell’ordine a cui appartiene, scompaiono cisti e dolori, riprende il servizio all’Hotel Dieu, e al medico che la visita non rimane che certificare l’avvenuto miracolo. A questo punto la cronaca di Saint Gilles registra con soddisfazione: ogni giorno un nuovo miracolo! E’ poi il turno di una novizia affetta da polmonite, e nella stessa giornata il buon Saint Gilles viene avvicinato da un signore distinto, con un mantello a doppio strato di panno, che gli consegna una lettera delle religiose di Sainte Marie de Montargis, in cui si racconta che una consorella, muta da due anni, ha ritrovato la parola al termine di una novena fatta per lei a Port Royal, e subito si è messa a cantare il Te Deum. Tra un miracolo e l’altro, Saint Gilles, attende anche le prediche dei nemici, come se fossero bollettini di guerra, non di rado accompagnati da piccoli tumulti  (durante una di queste prediche ostile ai miracoli di Port Royal, la folla sul portone della chiesa ha preso a gridare, minacciando l’incauto gesuita), ma i miracoli delle guarigioni continuano.  Nelle Fiandre, una donna, sorella di un lavorante del libraio stampatore di Port Royal, Savreux, afflitta dalla dissenteria da oltre quattro mesi e in grave pericolo di vita, guarisce al tocco del panno e dell’immagine benedetta (Saint Gilles, scrupoloso cronista, sempre accurato nel verificare le fonti, chiosa: possediamo una lettera originale della madre!). Altri miracoli si susseguono, così tanti da non riuscire nemmeno più ad annotarli: ogni giorno apprendiamo qualche guarigione straordinaria. Ma Saint Gilles non è il solo a redigere il trionfante catalogo delle vittorie. Ad appuntare le ideali bandierine di questa benefica epidemia, c’è anche Pierre Thomas du Fossé, allievo delle Petites Ecoles, segretario di Le Maître, che nei suoi Mémoires, scritti alla fine del secolo, ricorda diversi miracoli avvenuti a causa della santa spina, tra cui quello di una donna paralizzata alle spalle che si comunica e guarisce; la moglie di un procuratore che  smette di vomitare dopo due anni e dieci mesi; la figlia tredicenne del signore di Portelot, che da tre anni e mezzo stava coricata con la testa più in basso dei piedi per un doloroso accorciamento delle vertebre e aveva cinque o  sei convulsioni al giorno: dopo il solito tocco del panno e relativa novena, si alza e cammina, due giorni dopo si reca Port Royal per ringraziare. I miracoli dilagano tra le orsoline (mal di testa, paralisi) e tra le religiose in genere (in cima alla graduatoria idropisi, febbri, oppressioni al petto, dolori di stomaco). Ma i miracoli non avvengono solo fuori da Port Royal. Ancora un anno dopo, nel maggio del 1657, una pensionata di Port Royal des Champs, Claude Baudran, di quindici anni, si presta a un intervento divino non meno stupefacente di quello di Marguerite Périer. La ragazza, inferma da cinque o sei anni, soffre di forti coliche, sul ventre indurito si è formata una cisti che ingrossandosi col tempo la fa sembrare incinta. Fatica a parlare, viene fatta venire a Parigi dove i medici dicono di non aver mai visto niente di simile. L’unica cosa da fare, naturalmente,  è incidere la cisti mostruosa (la medicina dell’epoca, in modo forse non dissimile dal nostro, rivela una straordinaria propensione per l’apertura del corpo, quasi fosse mossa da una curiosità infantile, o da un perverso desiderio di frugare dentro le buie cavità del giocattolo). Rimane un dubbio angoscioso: incidere a destra o a sinistra? L’operazione è prevista per il giorno dopo. La ragazza  angosciata (molti miracoli avvengono alla vigilia di queste terrificanti operazioni chirurgiche) si getta in adorazione della santa spina, poi si ritira in camera sua dove, quando si spoglia, si accorge che la cisti è scomparsa. Quando la vedono, i medici prima la scambiano per un’altra, poi gridano al miracolo. Du Fossé, quasi stremato da tanti racconti, commenta che su Port Royal ingiustamente calunniato e perseguitato, si è riversato come un torrente di benedizione e di grazia.

Ma non tutto Port Royal festeggia il miracolo con lo stesso entusiasmo. Le menti più avvedute, come la Mère Agnès, sono turbate dall’eccitazione, non priva di esibizionismo, che si è impadronita delle suore, improvvisamente al centro dell’attenzione universale: C’è un po’ di trambusto, commenta lapidaria e seccata in una lettera alla Mère Marie Dorothée de l’Incarnation.  Ancora più esplicita, la Mère Angélique, un mese dopo il miracolo, scrive a Madame de Bélisy: Sono ammirata da come il mondo parla del miracolo e ancor più dalla convinzione che ce ne saranno altri. Non ci credo, ma se dovessi sperarne altri e chiedere a Dio, essi non riguarderebbero i corpi, ma tante miserabili anime che languiscono in una miseria cento volte peggiore di qualsiasi male corporeo, la cui forza e salute, il più delle volte, servono solo a uccidere le anime. Non desiderate, cara sorella, che Dio manifesti la sua verità con miracoli visibili, ma con quelli invisibili della conversione dei cuori, che si fa senza fasto e senza rumore. E in una lettera a suor Flavie, dopo averle ricordato che forse Dio ha voluto guarire l’anima di Marguerite attraverso il corpo, tocca uno dei punti nevralgici dell’affaire, il suo impiego come segno della superiorità di Port Royal, in grado di allontanare i nemici: Non desiderate tanto, carissima sorella, che il miracolo faccia cessare la persecuzione che dobbiamo sopportare, quanto quella che noi facciamo sopportare alla verità non conformando ad essa il nostro comportamento. Almeno all’inizio, in parte proprio per l’accorta sensibilità delle due madri, la notizia sembrò destinata a rimanere segreta (Fontane, nei suoi Mémoires, scriverà con eleganza che il comportamento delle religiose gli apparve ancora più miracoloso del miracolo stesso), anche perché c’era chi, come Le Maitre de Saci, facendo eco alla Mère Angèlique, si appellava agli invisibili miracoli della grazia più che a quelli visibili, e incitava all’umiltà, a diffidare di una passione santa ma pericolosa, e infine a temere la reazione degli avversari. Perché anche se i paragoni con un lontano passato (i miracoli di Sant’Ambrogio in occasione della scoperta dei resti dei Santi Gervasio e Protasio durante la disputa con gli ariani) deponevano a favore del senso probatorio del miracolo della santa spina, inappellabile conferma della bontà delle tesi di Port Royal, nessuno poteva davvero illudersi che i nemici si sarebbero acquietati, che la chiesa romana avrebbe fatto un passo indietro. Ma oltre a ciò, l’anima originaria di Port Royal, quella per cui la castità spirituale, la dedizione assoluta a Dio, non erano il primo compito dell’uomo, e nemmeno l’unico, erano l’essenza stessa della natura umana incorrotta, provava certamente disagio, era disorientata da quel fatale e lento sprofondare in un torbido ed estraneo mondo di controversie, ostilità e minacce. Non sarebbe stato preferibile il martirio? Un silenzio assoluto offerto in olocausto sull’altare delle ripicche, delle dispute cavillose, degli agguati dottorali? L’austero Port Royal fu attraversato da fremiti d’impazienza, da slanci d’audacia e anche da qualche tentazione goliardica, come quella che vide coinvolto Dalencé. Le Maître, che si trovava a Parigi, già alla macchia come altri solitaires, costretto a cambiare casa per sfuggire alla polizia, fu colpito da un violento ascesso ai denti. Mandò a chiamare il chirurgo, che non lo aveva mai incontrato, e mentre questo lo visitava, finse di venire da un’altra città e di volere apprendere qualcosa sul miracolo di Port Royal, esprimendo tutta la sua diffidenza per i giansenisti. L’ingenuo medico si lanciò in una difesa a spada tratta dei solitaires, facendo i loro nomi, che il malato annotava scrupolosamente su un taccuino, e alle obiezioni sul presunto miracolo, confessò alla fine che lui stesso ne era stato testimone e garante principale. Lo scherzo durò a lungo e la vittima alla fine ne rise di gusto.

Nello scontro tra le parti ci fu chi, come il vescovo Gilbert de Choiseul, cercò di mediare, ricordando che nessuno poteva mettere in dubbio il miracolo della santa spina perché si era verificato a Parigi, capitale del mondo, e dopo aver esaminato le ragioni dei libertini e degli eretici, che rifiutavano il miracolo per motivi anche troppo evidenti, affrontava il problema di quei cattolici che, avversari di Port Royal, non dovevano per questo negarlo, perché il miracolo glorificava la passione di Cristo, toglieva le pene di una bambina sofferente e, se anche la spina non fosse stata autentica, la fede, grazie alla quale si era manifestato, era sufficiente per giustificarlo. Ma c’è come una forza e un’evidenza nei fatti che è destinata a travolgere anche le intenzioni migliori, a imporre i suoi significati e a dettare le sue condizioni. Molti anni dopo, Racine l’avrebbe sintetizzata così: In una parola, Port Royal era nella costernazione e i gesuiti al colmo della gioia, quando arrivò il miracolo della  santa spina.  Sotto il cannoneggiamento delle Provinciales, sempre più intenso, sempre più in profondità, i nemici erano arretrati, ma il miracolo li fece sbandare. L’azione congiunta dell’Assemblea del clero e dei curati di Parigi  in autunno, il moltiplicarsi dei miracoli, l’estrema cautela della corte che allentò il controllo poliziesco, tutto fece pensare che il vento fosse cambiato e soffiasse ora impetuosamente contro la Compagnia di Gesù. Sembrò una rotta. Ma Roma era lontana e la tela tessuta con pazienza, lungi dallo sciogliersi, si stava rafforzando. La notizia giunse a Parigi solo un anno dopo il miracolo (chi giocava dall’altra parte conosceva bene le regole del gioco e l’arte della dilazione), ma una settimana prima dell’approvazione solenne del miracolo, il sedici ottobre 1656, Alessandro VI aveva già pronta la bolla Ad sacram, in cui le cinque proposizioni erano definitivamente condannate e formalmente attribuite a Giansenio. D’ora in poi sarebbe stato solo questione di tempo, la trappola era pronta e Port Royal non aveva scampo. Poteva però godersi quel lungo, consolante, effimero trionfo. In una lettera alla regina di Polonia, la Mère Angélique così riepilogava: i miracoli erano stati non meno di ottanta. La stessa Mère Agnès, con un misto di scetticismo e paura, scriveva in luglio che nei cortili di Port Royal stazionavano cinquanta carrozze di questuanti. In ottobre Jacqueline Pascal scrive una lettera alla sorella Gilberte lamentandosi del fatto che il cognato, Florin,  ha lasciato Parigi proprio alla vigilia della solenne messa di ringraziamento per la consacrazione del miracolo che riguardava la figlia, perdendo così la carica di attestatore di miracoli (anche Sainte Beuve, in un soprassalto d’indignazione  ricorderà che i Périer, subito dopo il miracolo, si erano dati da fare per sposare la sorella quindicenne di Marguerite!). Il ventisette ottobre, giorno della cerimonia, la reliquia, che alloggia sul piccolo altare nel coro, con paramenti bianchi e coperto da un velo, è letteralmente sommersa dalle candele. La messa è celebrata dal vicario, le suore con il velo abbassato intonano Exite filiae Sion, la piccola Marguerite, in abito grigio e cuffia (ma nell’ex voto commissionato dalla famiglia sarà ritratta in abiti religiosi), prende posto davanti alla grata spalancata che protegge la reliquia, su un inginocchiatoio coperto da un tappeto, con un cero e una sedia, su un piccolo rialzo in legno perché la folla che preme e si sporge lungo le navate possa vederla. Poi il vicario, accompagnato da sedici diaconi, porta in processione la reliquia coperta da un baldacchino. Tutte le suore si comunicano e alla fine della messa prima gli officianti e poi il popolo si fanno avanti per baciare la reliquia. Durante la cerimonia il tempo è migliorato e nella corte antistante la chiesa vengono vendute duemila copie di un opuscolo con le frasi del vicario. Il costo è di un soldo.

Il miracolo, anzi i miracoli, ispirarono una vera e propria liturgia della santa spina (ogni venerdì la reliquia venne esposta all’adorazione dei fedeli), che tra l’altro comprendeva l’antifona Ave Spina, una particolare messa di ringraziamento che verrà celebrata fino al 1834, e il rosario della santa spina. Il due luglio 1665 la reliquia fu portata in processione per l’ultima volta a Port Royal de Paris dalle religiose ribelli, alla vigilia della loro espulsione. Nel settecento la santa spina venne donata dalle religiose a Madame d’Orléans, figlia del reggente, come  patetico residuo di un passato ormai quasi irriconoscibile. Con la rivoluzione, le tracce della reliquia si  persero in quella che Mesnard ha chiamato una specie di bruma, o meglio si ramificano (già nel seicento le spina si era raddoppiata in una sua gemella che andò a Port Royal des Champs), e qualcuno ritiene che le due spine incrociate che ancora esistono nella Bibliothèque de Port Royal, incastonate in un crocifisso, siano quanto rimane di quella autentica e leggendaria del 1656.

Quanto alla miracolata del 1656, stranamente Marguerite non prenderà mai gli abiti religiosi, condurrà una vita austera tra Clermont e Parigi,  sempre dedita alle opere di bene con il fratello canonico, ma anche sempre a contatto con le più belle intelligenze del suo tempo, come Madame De La Fayette, che assisterà nelle ultime ore di vita, e sarà Madame De Sévigné a raccontarlo, scrivendo di lei: è una persona ammirevole, non l’ha lasciata giorno e notte, con una carità che non dimenticherò per tutta la vita.  Dopo la morte del fratello, scrive i suoi Mémoires (in cui non farà il minimo riferimento al miracolo) e si occupa degli scritti dello zio Pascal con grande dedizione e competenza. In punto di morte il parroco, suo parente, le rifiuta i sacramenti in quanto giansenista, ma l’intervento del vescovo Massillon le risparmia l’inutile infamia. Muore il 14 aprile 1733 a 87 anni.

Bruno Nacci

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