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La teoria di Darwin prende a cazzotti persino le nanomacchine! (grazie a un manga)

Vita artificiale che si evolve da sé, dopo la catastrofe che spazza via la vita biologica. E’ uno scenario interessante, ma come potrebbe essere possibile? L’intuizione è semplice e mi è stata fornita da una fumetto giapponese, Alita Last order. Mettiamo insieme nanomacchine impazzite e la teoria di Darwin, procedendo un passo alla volta.

Anomaly, la bestia evolutasi dalle nanomacchine, disegnata da Kishiro, col suo elegantissimo pene-cannone

Anomaly, la bestia evolutasi dalle nanomacchine disegnata da Kishiro, col suo elegantissimo pene-cannone

Ipotizziamo la costruzione delle nanomacchine, ovvero piccolissimi robot molecolari, della scala dei nanometri (un miliardesimo di metro). Non ci siamo molto lontani, a mio avviso. Se avessimo robot di questo tipo, e riuscissimo a lavorare sulla scala dei nanometri, allora potremmo veramente giocare a fare Dio. In un’ipotesi non troppo avvenieristica, potremmo avere nanomacchine che sostituiscano i nostri globuli rossi, trasportando ossigeno nell’organismo in maniera molto più efficiente e migliorando nettamente le nostre prestazioni atletiche, ma anche allungando di molto la nostra vita. Portando l’idea delle nanomacchine all’estremo, eccoci costruire oggetti dal nulla: una manciata di nanomacchine addestrate a costruire un’automobile vengono disperse nell’ambiente: eccole duplicarsi esponenzialmente, diventare miliardi in pochissimo tempo, ed eccole iniziare ad assemblare l’automobile prendendo atomi e molecole direttamente dall’ambiente circostante: non c’è più differenza tra materiale e carburante, tutto il creato è un playground per le manine onnivoro delle nanomacchine, proprio perchè essendo così piccole possono giocare direttamente coi mattoncini di base della materia. Seguendo questo link (http://www.encyclopedia.com/video/aKcEwUcVBHs-sid-meiers-alpha-centauri-secret.aspx) è possibile visualizzare un bel filmato esplicativo, preso dal visionario videogame Alpha Centauri (Sid Meier, 1998).

Si dice: “Semplicemente rovesciatene diversi barattoli, fateci scivolare un transponder di programmazione (che dovrebbe istruire le nanomacchine sul da farsi, NdA), e allontanatevi un bel po’ mentre la roba cuoce. In meno di un’ora le nanomacchine avranno usato il materiale disponibile per assemblare una piccola fabbrica, un hovertank, o abbastanza fucili a impatto per equipaggaire un reggimento”.

Ma cosa succede, ci si è domandati, se queste nanomacchine perdessero il controllo? Se non smettessero di replicarsi? Semplice: si mangerebbero il mondo. Questo scenario da fine del mondo è stato teorizzato molto tempo fa, e la massa amorfa di nanomacchine risultante dopo la catastrofe è stata battezzata grey goo. Digressioni su possibili scenari sono stati affrontati, per esempio, da Ray Kurzweil nel suo La Singolairtà è vicina, di cui abbiamo già parlato.

Proviamo ora a far scivolare la teoria dell’evoluzione di Darwin in questo contesto. Partiamo dall’inizio: dal mare, la vita. Da un mondo di chimica organica, ecco organizzarsi le molecole di carbonio in strutture in grado di replicarsi. Ecco il primo essere vivente, che si replica e si evolve: da un mondo inorganico a un mondo organico. E quindi mille bestie diverse col DNA che si riassembla più o meno caso, e i risultati guidati dall’accetta affilata dell’evoluzione: pesci, insetti, vertebrati, uomo. L’uomo è il primo animale che usa estensivamente la tecnologia per plasmare il mondo a seconda dei propri scopi. L’uomo inventa gli abiti, le spade, gli aeroplani, i computer e alla fine le nanomacchine. Le nanomacchine impazziscono e sfuggono al controllo dell’uomo. Le nanomacchine impazzite si mangiano i computer, gli aeroplani, le spade, gli abiti, l’uomo e il mondo stesso che, alla fine, rimane una massa schifosa fatta di nanomacchine. La grey goo.

Questo, però, ci porta alla situazione iniziale! Un mondo di chimica inorganica, questa volta costruito con un solo mattone, ovvero le nanomacchine stesse. A seconda del grado di coesione che queste nanomacchine sono in grado di creare tra loro, potremmo immaginarsi un mondo gassoso o un’immenso oceano. Ma un pianeta così statico, potrebbe tuttavia essere soggetto a cambiamenti (ad esempio, a seguito dell’impatto di corpi celesti, oppure maree elettromagnetiche conseguenti alla sua rotazione)… e chissà che a lungo termine, cambiamenti casuali non portino alla creazione di strutture (magari fatte di nanomacchine!) che riescono a permanere e organizzarsi in maniera complessa nonostante l’ambiente estremamente ostile. Se tali strutture dovessero riuscire a replicarsi, avremo la vita. Ancora. Guidata dall’evoluzione di Darwin, ancora. In uno scenario completamente diverso, ovviamente, uno scenario estremamente difficile da comprendere al momento (pura astrazione!), ma teoricamente possibile. Non si tratterebbe di vita come l’abbiamo sempre intesa, e sarebbe altresì molto lontana persino dalle ipotesi di forme di vita alternative ipotizzate, come per esempio quella basata sul silicio. Infatti, in questo caso, avremmo pura vita artificiale. Di fronte a un evento del genere, finalmente certe persone smetterebbero di ostinarsi a tracciare dei confini fra i concetti di naturale e artificiale.

E veniamo ai manga. L’ipotesi della vita ri-generatasi dopo una catastrofe di nanomacchine è presente nel manga fantascientifco Alita last order, di Yukito Kishiro, che iniziò nel 1991 pubblicando la serie Alita, l’angelo della battaglia (nota: il nome originale non è Alita, come è stato tradotto, ma Gunnm – 銃夢 – Ganmu). Un essere semi-intelligente battezzato Anomaly viene presentato nel numero 21 dell’edizione italiana (edito da Planet Manga, novembre 2008). Si ipotizza che Anomaly sia costituito proprio di nanomacchine evolutesi nel mare amorfo di un Mercurio, nella serie pianeta ridotto a gray goo. Si dice nel fumetto: “Ma se, per ipotesi dal brodo primordiale proprio delle origini della terra si fosse improvvisamente sviluppata una forma di vita capace di trasmettere geneticamente una propria anomalia, potrebbe anche darsi che in quel mare di nanomacchine che è Mercurio fosse sorto un essere capace di sopravvivere automomamente […] sarebbe, in parole povere, una vera e propria forma di vita inorganica!”

Non dimentichiamo che siamo in un manga, dunque questo essere, Anomaly, per qualche oscuro motivo si iscrive a un torneo di arti marziali interplanetario. Come mi fece notare un amico, sembra impossibile per i giapponesi scrivere storie interessanti che non abbiano a un certo punto un torneo di arti marziali o siano ambientate durante le scuole superiori. E non ci stupisce nemmeno che Anomaly sia un essere dalle fattezze grottesche, dotato di un enorme pene che utilizza come cannone. Sembra però esserci un disegno preciso dietro l’aspetto aberrante di Anomaly. Sempre dal fumetto: “Mi pare evidente che è tutto costruito a imitazione della forma umana. Sembra quasi una sorta di scherzo, di spregio, nei confronti del genere umano”. Forse Mercurio, dopo la catastrofe gray goo, è diventato un pianeta senziente, proprio come l’immenso mare di Solaris (Stanislav Lem, 1961) e sta inviando Anomaly per entrare in contatto con la civiltà umana. Ipotizzare che per ricreare l’intelligenza occorra per forza passare da un modello qualitativamente ispirato a una rete di neuroni, a un cervello, è pretenzioso (ne avevamo accennato in un post precedente). Resta sempre il problema dell’incomunicabilità: anche se un’intelligenza artificiale dovesse sviluppare una sua autocoscienza, come potrebbe comunciare con noi? Si va ben oltre il problema della lingua. Come potremmo accorgerci della vicendevole esistenza? Come comunicare i concetti? E come evitare che, magari, l’uno non schiacci l’altro come un insetto?

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