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Eduard Limonov: il fu Eduard Savenko

di Luca Ormelli

«Tutto è proibito negli Stati Uniti d’America ad eccezione del fare business e del fare sesso. Oggi, che con l’avvento dell’AIDS non è più sicuro fare del sesso, altro non resta che fare del business».

«Sei davanti, lettore, a un insolito libro di memorie. E siccome le mie inclinazioni sono sempre state duplici e ambigue, e sin da quando ero giovane mi sono comportato da Casanova o don Giovanni, inseguendo al tempo stesso un futuro da soldato e rivoluzionario (i miei modelli Bakunin e Che Guevara), il risultato è stato non meno duplice e ambiguo: stai per leggere un ibrido tra il Diario di Bolivia e le Memorie di Casanova» [Eduard Limonov, Libro dell’acqua, Alet, Padova, 2002, p. 28].

A questo modo conclude la propria Premessa al Libro dell’acqua Eduard Limonov; più che di Premessa lasciatemi parlare di Avvertenza, di Propedeutica a questo che se a tutta prima “si presenta” quale libro di memorie ad uno sguardo meno a volo d’uccello ma più aderente al contenuto appare come una grandiosa autoapologetica e “messa-in-scena”.

Volendo si potrebbe richiamare quel noto passo baudelairiano (e Baudelaire è un richiamo cui la ipertrofica vanità dell’Autore non si sottrae descrivendo le giornate intrise di flânerie trascorse nei parchi o sui lungosenna) in cui il Sommo Poeta francese, disquisendo del riso con la consueta maestria e pregnanza afferma che: «(…) tutti i fenomeni artistici (…) denotano nell’essere umano l’esistenza di una dualità permanente, il potere di essere a un tempo sé e un altro. (…) l’artista non è tale se non a condizione di essere duplice e di non ignorare nessun fenomeno della sua doppia natura» [corsivo di chi scrive]. Ebbene Limonov, nato Savenko nel 1943 in quell’Ucraina ancora preziosissimo granaio della fu Unione Sovietica, Limonov, la cui fisionomia tanto ha rammentato il Lou Reed dell’èra Rock N Roll Animal seppure con tratto incontestabilmente slavo quanto, oggi,  un sobrio intellettuale dissidente, Limonov dicevamo mette in atto proprio se stesso e ricorrendo ad un espediente quanto meno singolare: il nucleo “concettuale” del libro viene infatti rappresentato da tutte le acque che lungo la assai intensa e variopinta esistenza dell’Autore («un temperamento nichilista» sostiene di sé, a pagina 111) hanno avuto il privilegio di assistere alla di Lui comparsa, ribalta sul palcoscenico del mondo:

«(…) ho fiutato che al mondo gli intrecci fondamentali sono due, la guerra e le donne (la puttana e il soldato). E ho anche capito che il genere più moderno è oggi la biografia. (…) I miei libri sono la mia biografia. Della serie: le vite dei grandi uomini» [p. 116].

Rodomontata conclusiva a parte (ma di tali rodomontate il lettore deve attrezzarsi alla tolleranza pena l’abbandono del testo, testo dall’originale ordito e sviluppo su cui si tornerà più avanti; quanto alle rodomontate si prenda a titolo di coerenza e di convalida il seguente passo riportato a p. 103:

«Ero probabilmente l’uomo più interessante che potesse capitarle [il Le è del tutto intercambiabile, talmente numerose e oggettivate appaiono le donne e le mogli del Nostro, sempre bersaglio del suo inesauribile appetito sessuale quando non della altrettanto esplicita sua misoginia] in quegli anni [estate 1996, nota di chi scrive] tra Vladivostok e Gibilterra. Almeno uno del manipolo dei più interessanti (tutti gli altri bad boys, Arkan, Karadžić, Denar, Žirinovskij, Chudojberdyev, li conoscevo di persona)» [il corsivo è dell’Autore].

È quella sopra citata una dichiarazione d’intento programmatico. Limonov ha sin dal proprio esordio Edička, ovvero io, elaborato nel 1976 subito dopo l’emigrazione negli Stati Uniti, poeta squattrinato e non-accademico, scritto di sé senza sosta. Come con acuta introduzione sottolinea il curatore del volume in oggetto, Mario Caramitti:

«Da sempre Eduard Limonov sceneggia se stesso. Cerca nel canovaccio della sua esistenza scene letterariamente riproducibili o, meglio, le vive appositamente allo scopo di inserirle nei testi. (…) Cambia quadro, taglia, aggiusta, ingigantisce dettagli o li smentisce. Fin dal suo debutto a trentatré anni, non scrive che di sé ininterrottamente, ritornando sulle stesse scene da diverse angolazioni, in cornici diverse e con diversi strumenti retorici. (E) condisce tutto immancabilmente di scandalo» [p. 13 – corsivo di chi scrive].

Limonov è dunque, pirandellianamente, Uno (riteniamo di fargli cosa gradita  facendo uso della maiuscola), nessuno (assai di rado) ma particolarmente centomila. E della sua straripante, mai doma vitalità l’Autore ci offre, con inestricabile intreccio un monumento di sé, del Sé con il libro in esame che «si sarebbe potuto chiamare anche Libro del tempo. Infatti parla del tempo. Ma ho preferito l’acqua. L’acqua trasporta, cancella e non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua. (…) Ho anche scoperto di aver colto nell’oceano del tempo gli elementi più essenziali: e così, lette le prime quaranta pagine del manoscritto, non vi ho trovato che guerra e donne. Mitra e sperma dentro i buchi delle femmine amate, ecco a cosa ammonta la mia ordinaria esistenza» [p. 27 – corsivo di chi scrive].

Ricordi dunque quelli di Limonov, ricordi «sull’acqua, i mari, i fiumi e le fontane» senza «alcun ordine sistematico. (…) Questi miei ricordi si possono leggere a partire da qualsiasi pagina e seguendo qualsiasi direzione. Nuotano nell’eternità, non hanno bisogno di dimensioni, perché sono disciolti nell’eternità» [p. 77].

E di ricordi il carcere/fortezza di Lefortovo, carcere  in cui il Nostro viene rinchiuso dall’aprile 2001 al giugno del 2003, primo scrittore post-sovietico in regime detentivo per motivi d’opinione, di ricordi, si diceva, il carcere diviene un esplosivo (come esplosivo è lo pseudonimo cui Limonov/Savenko è ricorso: la Limonka altro non è infatti che una bomba a mano impiegata dall’Armata Rossa durante la vittoriosa IIª Guerra Mondiale; pseudonimo che in un cortocircuito di hýbris designa oggi l’organo di stampa del Partito Nazional-bolscevico) catalizzatore. Nei due anni o poco più di galera [una «galera d’élite» – a p. 236 e con sorprendente onestà così la definisce l’Autore – che sembra però aver costituito per Limonov quella tessera mancante nel mosaico della sua esistenza, e per di più una tessera perfettamente incastonata, quasi cercata, voluta: «È esattamente questa la vita che ho sempre voluto: caleidoscopica, arrischiata, sfavillante. Adesso la prigione e lo status di criminale, la dignità di criminale di Stato mi hanno colato nel bronzo, reso un monumento. Chi oserà più mettere in dubbio la mia sincerità e tragicità?» (p. 117 – corsivo dell’Autore)] Limonov scrive otto, diconsi otto libri, in cui, al solito, sdipana agli occhi sgranati dell’incauto lettore che gli si accosti impreparato le mirabolanti avventure di una vita che dannunzianamente ha voluta se non inimitabile almeno difficilmente ripetibile: dalle vicissitudini in perfetto stile bohémien degli anni ’70 sul suolo americano e principalmente a New York (si osservi qui, a latere, quanto sull’elemento scandalistico – dalla presunta bisessualità alle presenti accuse di pedofilia e apologia di nazismo – sin dagli esordi del già citato Edička, ovvero io gli editori avessero puntato; prova ne sia che il primo titolo con cui in Italia il romanzo venne proposto al mercato indigeno fu Il poeta russo preferisce i grandi negri ma, e con tutta evidenza, questo testo è destinato a non essere pubblicato con il proprio titolo originario se persino nella sua ultima edizione, apparsa per i tipi della Salani nel 2005 esso viene tradotto con: Eddy-baby ti amo…) alle più sofisticate relazioni intrattenute con l’ambiente degli espatriati russi in quel di Parigi (gli anni ’80), alla “missione” di guerrigliero nazionalista panslavista sempre pronto, kalashnikov in pugno, a sostenere e perorare la causa degli infiniti nazionalismi indipendentisti emersi dall’universo sgretolato dell’URSS (gli anni ’90) all’ultima versione, solo all’apparenza più incivilita del fondatore e militante del Partito Nazionalbolscevico con cui tenta l’avventura politica e di opposizione “senza frontiere” (esemplare a tale riguardo l’esposizione ad opera della locale sezione del Partito della bandiera rossa sulla cupola della cattedrale di San Pietro a Riga, in Lettonia il 17 novembre del 2000; azione questa in perfetto stile da “avanguardia futurista”) alla silente dittatura di Vladimir Putin. D’altra parte è il medesimo (ne siamo poi certi? Della ipseità di Limonov, intendo, di colui che senza timore di contraddizione afferma di essere estimatore tanto di Mussolini quanto delle Brigate Rosse, di Marinetti quanto di Majakovskij, di Lenin quanto di Le Pen; un “autentico” nazional-socialista dunque) Limonov a sostenere che: «In generale il mio consiglio è: incoraggiate la mania di grandezza! Coltivate in ogni modo la vostra differenza dagli altri. Non c’è nessun senso ad assomigliare a questa noiosa marmaglia» [p. 84].

«E’ del tutto inutile cercare libri di talento occidentali degli anni Settanta. Non esistono. Potete credermi. Li ho cercati per vent’anni io stesso» [p. 186].

E noi, noi così ordinariamente singolari ti crediamo Eduard Limonov, nato Savenko. Non possiamo non crederti leggendo il Libro che della tua propria vita hai fatto e che ai nostri occhi sbigottiti, con tanta dovizia di parole e più ancora di azioni ci schiudi. Sipario.

[Per chi, nel più puro spirito voyeurista, fosse interessato alla curatissima “veste” grafica di cui possono fregiarsi i libri di Limonov nella propria versione originale rimandiamo al sito > http://www.limonow.de]

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