a cura di Teresa Caligiure
Isolare alcune stanze da Cantico di stasi di Marina Pizzi non è stato semplice. Infatti, l’intero poemetto per la densità dei significati evocati e per bellezza dei versi merita un’attenta lettura. Composto da 87 strofe di varia lunghezza, Cantico di stasi affronta i motivi del dolore e dell’assenza, indagando sul senso della vita. Il lutto, concepito come morte dell’io, da una dimensione soggettiva e personale diviene evento universale, artefice di incolmabili vuoti, pur nell’apparente palpitare della vita. Nei tragici sentieri dell’esistenza, la felicità, anelata e tuttavia irrealizzabile, e il dolore sempre vivo («così lo stato delle fosse / vive») prendono forma nelle figure di angeli e di demoni che animano le strofe: «nel ginnasio degli angeli / voglio andare dove la pena non è neppure / un ricordo». L’amore trova la sua veridicità nella cosciente fictio di un io disilluso, ma sempre in vivace perlustrazione del caotico substrato del mondo, e conduce, anch’esso, all’inesorabile destino di solitudine e morte che appartiene all’umanità: «simulare l’occaso per un brivido / d’amore. invece è tacito l’embrione / di morire da sotto il glicine / piangente».
Le immagini vigorose e singolari («incudine di putti / verremo uccisi tutti»; «siluri di alfabeti miracolosi») e gli audaci sintagmi sono alcuni degli elementi cardine della poesia di Marina Pizzi. L’autrice smitizza il suo dire («viuzze di alfabeti»), ironizza, per poi affidare alla parola l’esigente compito di scrutare le alte verità, seppur inconoscibili: «la grazia occulta della siepe / è un buon cammino nonostante / non sapere l’aldilà». Tuttavia, ogni certezza viene edificata sul dubbio: «è tutta qui la resina del dubbio / quando la casa crolla tutta sicura / di stare in piedi».
I versi, finemente cesellati, sono costruiti su sinestesie, antitesi, poliptòti e iperbati, mentre il punto fermo, unico segno di punteggiatura, permette di circoscrivere immagini ed espressioni particolarmente incisive. La fitta presenza degli enjambement scandisce il ritmo del discorso poetico, che si presenta come un continuum, un interminabile canto dell’hinc et nunc, di un’immanenza che vale la pena di raccontare, urlare e bestemmiare («sapida bestemmia / dove la pietà si annulla in urlo»), seppur in «un convulso esodo di stasi / verso l’ombra che per tutti c’è».
Marina Pizzi*
testi tratti da
Cantico di stasi**
2011-2014
1.
in un ospizio di foglie
la pigrizia dell’angelo.
si secca la gioia di dio
pertugio di lacrime.
incline al giocondo arenile
balbetta d’eco la conchiglia.
in mano all’armonia dell’inguine
resta la giara senza l’olio santo
prosciugato dal resto del mondo.
mandami un calesse avrò già pianto
nel dilemma scortese del fango.
è tutta qui la resina del dubbio
quando la casa crolla tutta sicura
di stare in piedi. i duri fratelli
hanno lasciato la casa dopo il saccheggio.
in un tuono di vendetta la scaturigine
del sacco chiuso a bomba. intorno le vipere
spasimano gl’intrecci. l’ironia del vicolo
spadroneggia sugli amanti senza riparo.
2.
quale imbrunire mi offuscherà la fronte
nella schiera di nuvole nemiche
scacchiere senza angeli di fianco.
oggi il diverbio è pastore di se stesso
quasi un convulso esodo di stasi
verso l’ombra che per tutti c’è.
in un buio di casale voglio l’occaso
della pace. in primavera si addice
la mia voglia di avverare aiuto
almeno alle fontane senza acqua
battesimali di cenere per sempre.
la croce sulla fronte non basta
il salario di essere felici, anzi
la casta delle ronde tonifica il demonio.
i prìncipi sono pochi e i sudditi
immensi. così lo stato delle fosse
vive, lo stato del dominio delle cose
fatte ad arco per castigare meglio.
10.
finalmente avrò un bottone d’agio
finalmente. e dietro l’ambito delle vene
rosse non ci sarà più il sangue, ma la fine
dolcissima della vita. nel ginnasio degli angeli
voglio andare dove la pena non è neppure
un ricordo. nelle scalee di prìncipi e tiranni
resta l’odore della morte per il popolo dei
gioghi. gigli secchi comprendono le tombe
quando nessuno si ricorda più
di quali stati fu il cruciverba e la badata
stasi di dormire raccolti in un apice
di piume. lo sterzo è la vendetta del morente
con urli o silenzio secondo la paura.
immersi in un letamaio di giullari
si contamina restare stamberghe di sé.
11.
lasciami andare a un sinonimo di eclissi
dove l’abaco conti solo miti
e siluri di alfabeti miracolosi
dove la cornucopia è sazia
e la viltà non ha indici
né sbagli di scommesse.
intagli di meraviglie starti a guardare
nell’eremo che soqquadra le pianure
perdurando le eresie del bello
sotto le cimase dell’esodo folclorico
e le rotte evangeliche del sorriso.
indarno il quadro scoppia di bellezza
se questo deserto è prova di catrame
e la trama del foglio perde la scrittura.
il trono maniacale dell’estetica
espunge il costato dell’arsura
questa bravura di piangere per sempre
nonostante le zeppe sotto la lavagna.
il crudo amore inguaia la progenie
misfatto editto per la solitudine
tutte già belle le turbe delle spose.
12.
mia madre è morta di strano cuore
una maretta intrisa di preghiera
la mia di sapida bestemmia
dove la pietà si annulla in urlo.
in un covo di rettitudine blasfema
ho sopportato l’agonia la gogna
dell’attesa e il silenzio finale.
con un pellegrinaggio di lenzuola
la giornata si fa atroce come la purea
di tutti i giorni e le cibarie pessime.
escludo da me la veglia della gioia
questa vanga di fanga e di gran fuoco
quando i fiori si gettano per terra
a piramide profumata. si toglie tutto
anche la croce per la cenere maligna.
resti o svapori poco importa alla baldanza
di lucciole letargiche e fuochi fatui.
i lavori degli uomini continuano
a trasportare morti per furti futuri.
si ruba ai morti tanto non costa niente
e la baldoria non barcolla un attimo.
14.
vado all’espatrio ogni notte
con un tatuaggio nel cervello
botta e risposta senza fine
la mia carriera visitata da ferri
arroventati. nei denti un faro
di conchiglia. una perplessa
aurora quanto un cimitero
divelto. miserere del respiro
continuare la scansione del
tempo. vocativo d’estro volerti
accanto. camminami sul petto
abbi pietà del mito che ci rese
fragili. passa la vendetta un canestrello
di vespe. la grazia occulta della siepe
è un buon cammino nonostante
non sapere l’aldilà. incudine di putti
verremo uccisi tutti.
28.
viuzze di alfabeti starti accanto
simulare l’occaso per un brivido
d’amore. invece è tacito l’embrione
di morire da sotto il glicine
piangente. gerundio di rondine tornare
natività del bandolo il sorriso
se finalmente si eterni la questione
di ridere accartocciati insieme ai fiori.
si erutta sul calvario l’ultimo bacio
cimitero di rendite desertiche
milite ignoto l’occhio di cristallo.
in tasca l’arbitrio del diario
con l’elemosina scaduta della briciola
il sisma in canottiera della sposetta.
miriadi di rantoli guardarti andartene
in mano alle lanterne delle grotte
dove nessuno è visto per vedere.
in tana sull’occaso piange il figlio
con la scarogna enorme della nascita
inflitta per dominio di demonio.
**Cantico di stasi, insieme ad una corposa antologia di testi poetici tratti dalle raccolte edite ed inedite di Marina Pizzi, si trova online nel pregevole sito curato da Francesco Marotta, Rebstein- La dimora del tempo sospeso, al seguente link: https://rebstein.wordpress.com/category/marina-pizzi/
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*Marina Pizzi è nata a Roma (1955), dove vive. Ha pubblicato i seguenti libri di versi: Il giornale dell’esule (Crocetti, 1986), Gli angioli patrioti (ivi, 1988), Acquerugiole (ivi, 1990), Darsene il respiro (Fondazione Corrente, 1993), La devozione di stare (Anterem, 1994), Le arsure (LietoColle, 2004), L’acciuga della sera i fuochi della tara (Luca Pensa, 2006), Dallo stesso altrove (La camera verde, 2008, selezione), L’inchino del predone (Blu di Prussia, 2009), Il solicello del basto (Fermenti, 2010), Ricette del sottopiatto (Besa, 2011) Un gerundio di venia (Oèdipus, 2012), La giostra della lingua il suolo d’algebra (Edizioni Smasher, 2012). Inoltre le plaquettes L’impresario reo (Tam Tam, 1985) e Un cartone per la notte (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); Le giostre del delta (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario”, 2004). Suoi versi sono presenti in riviste, antologie e in alcuni siti web di poesia e letteratura. Ha vinto diversi premi di poesia. Nel 2004 e nel 2005 la rivista di poesia on line “Vico Acitillo 124 – Poetry Wave” l’ha nominata poeta dell’anno. Fa parte del comitato di redazione della rivista “Poesia”; è tra i redattori del litblog collettivo “La poesia e lo spirito”; collabora con il portale di cultura “Tellusfolio”. Sue poesie sono state tradotte in persiano, in inglese e in tedesco.