di Gianni Criveller
Edith Stein,[1] nata nel 1891 in una famiglia devota ebrea tedesca, è una filosofa (discepola ed assistente di Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia contemporanea) scrittrice e attivista di grande valore. A 30 anni si converte improvvisamente al cattolicesimo in seguito alla semplice lettura, nel corso di una notte, dell’autobiografia di Teresa D’Avila e, dopo che la sua promettente carriera universitaria viene interrotta dalle leggi razziste, diventa monaca contemplativa. Viene uccisa dai nazisti ad Auschwitz il 9 agosto 1942, a 50 anni, insieme alla sorella Rosa. Quest’ultima aveva seguito nella conversione e nella vita religiosa la sorella più conosciuta. Edith viene canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998 e dichiarata patrona d’Europa. È considerata da molti tra le donne più importanti del nostro tempo. Si è battuta per l’emancipazione femminile nel campo politico (per il voto alle donne), accademico e sociale. La sua vicenda, affascinante e tragica, merita un saggio interamente dedicato a lei, che spero di poter stendere in un futuro prossimo.
Una donna coraggiosa scrive al Papa
Questo articolo è incentrato sulla trascrizione integrale di un documento drammatico e profetico. Si tratta della lettera che Edith Stein, il 12 aprile 1933, scrive a Papa Pio XI. Questo eccezionale documento è accessibile in Vaticano solamente dal 15 febbraio 2003, ed è conosciuto quasi esclusivamente dagli studiosi di settore.
Per comprendere il documento nella sua drammaticità e attualità dobbiamo ripercorrere una serie di eventi accaduti in pochi mesi nel fatale 1933. Il 13 marzo di quell’anno Adolf Hitler ottiene i pieni poteri e, fin dalle prime settimane, avvia la sua politica discriminatoria contro gli ebrei. Il 7 aprile viene diffusa la norma dell’esclusione degli ebrei dagli uffici pubblici. Il 12 dello stesso mese Edith scrive al Papa e, alla fine di aprile, viene privata della cattedra di pedagogia presso il Collegium marianum di Münster.
Le pratiche di deportazione e di sterminio sarebbero state di là da venire, eppure Stein intuisce con particolare chiarezza che cosa sarebbe accaduto. Avrebbe voluto essere a Roma dal Papa, per “ottenere un’udienza privata e chiedere al santo padre un’enciclica in proposito” così lei stessa scriverà nel 1938.[2] Tuttavia, amici che conoscono fin troppo bene l’ambiente di Roma le sconsigliano di fare un viaggio a vuoto. Non le rimane che scrivere al Papa, con quella fiducia e quella ingenuità dei cattolici sinceri. Edith non impiega alcuno stile sussiegoso: chiede con forza al Pontefice di rompere il muro del silenzio. Ecco il testo che vale la pena di leggere per esteso:
Padre Santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da 11 anni figlia della Chiesa cattolica, ardisco esprimere al padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tedeschi.
Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci – tra i quali ci sono dei noti elementi criminali – il seme dell’odio si schiude.
Che fossero commesse violenze, fino a poco tempo fa era ammesso dal regime. In quale misura, non possiamo averne idea, perché l’opinione pubblica è imbavagliata. Da ciò che posso giudicare, sulla base dei miei rapporti personali, non si tratta di casi isolati. Sotto la pressione di voci provenienti dall’estero sono passati a metodi più “blandi” e ha ordinato che “a nessun ebreo sia torto un capello”. Ma essi conducono molti alla disperazione con un boicottaggio che priva le persone dello svolgimento di attività economiche, della dignità di cittadini e della patria: attraverso notizie private sono venuta a conoscenza di cinque casi di suicidio nelle ultime settimane a causa di questo atteggiamento ostile. Sono convinta che si tratti di un fenomeno generale, che provocherà molte altre vittime. Si può ritenere che gli sventurati non avessero abbastanza forza morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità cade in gran parte su coloro che li hanno spinti a tale gesto, cade anche su coloro che tacciono su questi avvenimenti.
Tutto ciò che è accaduto e che sta accadendo quotidianamente proviene da un governo che si definisce “cristiano”. Da settimane non solo gli ebrei, ma anche migliaia di fedeli cattolici aspettano e sperano, in Germania e, credo, in tutto il mondo, che la Chiesa alzi la voce per arrestare questo abuso del nome di Cristo. Non è un’aperta eresia questa idolatria della razza e del potere dello Stato che martella le masse attraverso la radio? Non è questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico un oltraggio della santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli? Non è tutto ciò in contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla croce pregò per i suoi persecutori? Non è questa una macchia nera nella cronaca di quest’Anno santo che dovrebbe essere l’anno della pace e della riconciliazione?
Noi tutti, che siamo figli fedeli della Chiesa e che osserviamo con attenzione la situazione in Germania, temiamo il peggio per la Chiesa, se il silenzio si prolunga. Siamo convinti che tale silenzio non sia in grado, alla lunga, di ottenere la pace dall’attuale regime in Germania. La guerra contro il Cattolicesimo si svolge in sordina e in forme meno brutali di quelle usate contro gli ebrei, ma non meno sistematiche. Non passerà molto tempo che nessun cattolico potrà avere più un impiego, a meno che non si sottometta senza riserve al nuovo corso.
Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo l’apostolica benedizione.
Dott. Edith Stein. Docente presso l’Istituto tedesco di Pedagogia scientifica, Collegium Marianum di Münster[3]
Innanzitutto, risulta notevole che una donna, una laica (Edith non era ancora entrata in monastero), una convertita, un’ebrea … abbia il coraggio di scrivere al Papa e con tanta immediatezza e convinzione. Scrive con rispetto, certamente, ma soprattutto senza quello stile curiale e devozionale tipico degli ecclesiastici. Inoltre, non si mette a raccontare quello che il Pontefice avrebbe voluto sentire (come ipocritamente fanno gli ossequiosi), piuttosto dice le cose come le sperimenta giorno dopo giorno. È stata in grado di anticipare cosa sarebbe accaduto, perché “guardava con attenzione” la realtà mediante gli occhi della gente comune.
Il Papa riceve senz’altro la lettera, ma non le dà alcuna risposta scritta. Nel testo autobiografico del 1938 citato sopra, Edith scrive: “So che la lettera venne rimessa sigillata al Santo padre, del quale ricevetti poco dopo la benedizione per me e i miei congiunti. Null’altro. In seguito, ho pensato spesso se quella lettera gli fosse ritornata qualche volta in mente, giacché negli anni successivi si verificò passo per passo quanto avevo previsto per l’avvenire dei cattolici in Germania”.[4]
Coscienza cristiana e regimi totalitari
Nei mesi che seguono la spedizione della lettera, il Vaticano persegue una politica opposta all’impetrazione di Edith Stein. Come abbiamo ricordato sopra, Edith viene licenziata, in adempienza alle politiche naziste, dalla scuola cattolica dove insegnava. Il 20 luglio la Santa Sede firma il Concordato con il governo tedesco guidato da Adolf Hitler. Questo accordo, che suscita sconcerto e riprovazione già da allora, dà inevitabilmente una sorta di legittimazione morale al regime nazista e limita l’attività politica del clero e degli intellettuali cattolici in Germania. Coloro che sono contrari all’ideologia di Hitler sono senz’altro scoraggiati dalla firma del Concordato. Se ne ha una triste riprova nel novembre successivo, quando numerosi professori tedeschi emettono una penosa “professione di fedeltà” a Adolf Hitler. Tra loro, insieme al famosissimo Martin Heidegger, ci sono anche ecclesiastici e intellettuali protestanti e cattolici. Evidentemente non sono turbati abbastanza dal fatto che le politiche naziste, solo pochi mesi prima, abbiano espulso dal mondo accademico intellettuali di prima grandezza come Edith Stein (che ha forti rapporti con Heidegger, fino a quando lui diviene filonazista).
Eppure la maggior parte di quei professori cristiani non sono né a favore né particolarmente contro i nazisti. Sono piuttosto preoccupati di difendere le posizioni della Chiesa in quei tempi difficili. Il leader della “Chiesa confessante” (il gruppo protestante che “confessò” la colpa del silenzio nei confronti di Hitler) Martin Niemöller ammette che numerosi dirigenti della Chiesa sono condizionati più dalle imposizioni naziste che dalla sofferenza e dall’ingiustizia subite dalle vittime del nazismo. A Niemöller, egli stesso imprigionato a Dachau, viene attribuita una famosissima poesia, in cui la ‘cultura del silenzio’ è radicalmente rigettata:
In Germania, vennero prima per i comunisti,
e io non dissi nulla
perché non ero comunista;
E poi vennero per i sindacalisti,
e io non dissi nulla
perché non ero sindacalista;
E poi vennero per gli ebrei,
e io non dissi nulla
perché non ero ebreo;
E poi … vennero per me,
e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.[5]
Non tutti i protestanti rimangono in silenzio. Il teologo Dietrich Bonhoeffer è il più noto luterano ad opporsi a Hitler. È giustiziato nel campo di concentramento di Flossenbürg, il 9 aprile 1945. Ha 39 anni, la guerra finisce dopo pochi giorni. Egli è tuttora uno dei teologi più influenti del XX secolo. Meritano di essere più conosciuti gli eroici giovani universitari di Monaco del gruppo “La Rosa Bianca”, guidati da due fratelli, Hans e Sophie Scholl (di 25 e 22 anni). Sono luterani, ma fondano “La Rosa Bianca” dopo aver letto le omelie anti-naziste del vescovo cattolico Von Galen (ci torneremo subito); il gruppo, inoltre, ha nel teologo cattolico Romano Guardini un importante punto di riferimento ideale. I verbali del processo ai fratelli Scholl, cui segue la condanna a morte il 22 febbraio 1943, sono un eccezionale tributo al primato della coscienza personale sull’ideologia e il potere.
Anche in campo cattolico sono purtroppo pochi coloro che rompono la coltre del silenzio: uno è il vescovo di Münster Clemens August von Galen, successivamente elevato al cardinalato e oggi beato, noto per le sue omelie antinaziste. Willi Graf, membro de “La Rosa Bianca”, un giovane cattolico proveniente dallo scautismo, è ucciso 12 ottobre 1943. Franz Jägerstätter, un contadino austriaco non violento ed obiettore di coscienza, lascia nelle lettere alla moglie una testimonianza limpida di ineguagliata dignità e coraggio. Condannato a morte il 9 agosto 1943, nel 2007 viene anche lui beatificato. Tra i numerosi preti cattolici uccisi dai nazisti desidero ricordare il teologo Joseph Schmidlin, padre della missiologia cattolica. Ma questi casi sono isolati purtroppo, e solo oggi se ne riconosce il valore, anche attraverso l’istituto della beatificazione e della canonizzazione. Ma a quel tempo quelle voci erano minoritarie e marginalizzate nella stessa Chiesa.
Andiamo per il nostro popolo …
Al fallito appello di Edith Stein segue un accordo diplomatico tra la Santa Sede e Berlino. C’è da chiedersi se tali accordi facciano davvero bene alla Chiesa. Certamente la Santa Sede non è responsabile dei regimi che si impongono sui popoli. Ma le relazioni diplomatiche con i tiranni sono inevitabilmente dense di implicazioni di lunga durata. E anche se la Santa Sede non vuole condonare regimi dittatoriali, il compromesso con essi viene inevitabilmente percepito come una specie di riconoscimento. I rapporti con i regimi, inclusi quelli comunisti, rafforzarono, di fatto, la loro ‘rispettabilità’, indebolendo le voci critiche di chi, cattolici e non, si oppongono ai tiranni e ai loro abusi.
C’è da supporre che nel 1933 il Vaticano, che aveva avviato le trattative per il Concordato già da alcuni anni, speri che esso protegga i cattolici tedeschi da mali ancora peggiori. Ma tale speranza, come prevede Edith, si rivela un’illusione: i nazisti violano l’accordo sin da subito dopo la firma. Diplomatici esperti quali Eugenio Pacelli e lo stesso Papa non vedono quello che Stein anticipa con chiarezza: “questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco”.
E purtroppo nessun male maggiore è evitato: è difficile, infatti, immaginare una tragedia più grande di 70 milioni di morti per una guerra mondiale iniziata da Hitler. Insieme ai crimini compiuti dai regimi comunisti in tutto il mondo, essa è una delle più grandi tragedie della storia dell’umanità: include la Shoah di sei milioni di ebrei e la distruzione della Germania (quasi nove milioni di tedeschi morti a causa della guerra, senza menzionare il bombardamento a tappeto delle città tedesche). E nemmeno i cattolici sono risparmiati, proprio come Stein aveva previsto: la metà dei sei milioni di polacchi morti a causa della guerra sono cattolici; nel solo campo di sterminio di Dachau vengono uccisi circa 2.600 sacerdoti, molti di loro tedeschi.
Nonostante sia rimasta inascoltata, Edith non perde la fede e paga il prezzo finale del martirio, condividendo la tragica sorte degli ebrei. Le sue ultime parole, al momento del prelievo al monastero di Echt (Olanda) per essere deportata ad Auschwitz, sono rivolte alla sorella: “Vieni, Rosa. Andiamo per il nostro popolo.”
Una questione di libertà
In questo articolo non voglio toccare il tema del supposto ‘silenzio’ di Pio XII nel corso della Seconda guerra mondiale, piuttosto riflettere sull’impatto dei regimi totalitari sulla coscienza degli intellettuali e sulle istituzioni accademiche ed ecclesiastiche. Naturalmente la storia non si ripete mai esattamente nello stesso modo, tuttavia, come storici siamo chiamati a riflettere sul significato degli eventi passati, e su come, sotto forme diverse, simili dinamiche di sopraffazione e asservimento si ripetono. Se non si facesse così, la storiografia si ridurrebbe a semplice curiosità per la cronaca passata.
La lettera di Edith Stein mi è tornata alla mente dopo aver letto l’ottimo articolo “The Church in Dark Times” di Martin Chung, apparso in Sunday Examiner lo scorso 3 agosto 2014. Riflettendo sul licenziamento politicamente motivato di Eric Sautedé, un ricercatore politico che insegnava presso la St Joseph University di Macau, Chung propone un parallelo tra quello che è successo a Macau circa la libertà accademica rispetto a regimi illiberali e la reazione dell’intellighenzia cattolica di fronte alla salita al potere di Hitler. Il licenziamento di Sautedé ha suscitato preoccupazione in molti ambienti, e alcuni media come il South China Morning Post e Sunday Examiner di Hong Kong ne hanno registrato il dibattito. Elaborando una riflessione del teologo tedesco John Baptist Metz, Martin Chung, riferendosi alla vicenda di Macau, denuncia che il silenzio della Chiesa su una questione tanto sensibile per la libertà, anzi il fatto che le autorità ecclesiastiche impongano il silenzio, non è affatto una scelta di neutralità, piuttosto il più politico degli atti. Ho partecipato anch’io al dibattito, inviando a Sunday Examiner una riflessione critica, pubblicata il 31 agosto 2014.[6]
Edith Stein, oggi venerata come santa, martire e patrona d’Europa, non credeva che tacere fosse una buona politica: “la responsabilità (…) ricade anche su coloro che tacciono. Noi tutti, che siamo figli fedeli della Chiesa e che osserviamo con attenzione la situazione in Germania, temiamo il peggio per la Chiesa, se il silenzio si prolunga.”
Con il recente viaggio di Papa Francesco in Corea (agosto 2014), si è riproposta all’attenzione dei media la questione dei rapporti tra Santa Sede e Cina, un paese governato da un regime illiberale, con gravi abusi dei diritti umani e libertà civili. Papa Francesco, mentre tornava in Italia, ha dichiarato che in Cina la Chiesa chiede solo libertà. Libertà. Mi sembra un modo ottimo ed efficace per sintetizzare la questione, che è appunto una questione di libertà.
[1] Per chi desidera approfondire la conoscenza di Edith Stein consiglio l’ottima e recente biografia di Francesco Salvarani, Edith Stein. La grande figlia d’Israele, della Chiesa, del Carmelo. Ed. Ares, Milano 2009.
[2] Questa Autobiografia di Edith Stein viene riportata nel libro della consorella Teresia Renata de Spiritu Sancto, Edith Stein, Nuernberg 1951. La citazione è riportata nel sito del Centro Studi Edith Stein: http://www.centrostudiedithstein.it/CentroStudiEdithStein/EdithStein/CsEs_Page_EdithStein.php?DIR=EdithStein&PAGE=CsEs_Page_EdithStein.php (accesso 30 agosto 2014).
[3] Non è difficile trovare in rete il testo della lettera, tradotto in varie lingue. Qui ho trascritto la traduzione curata da Angela Ales Bello e inclusa nel suo volume Vado per il mio popolo, Castelvecchi: Roma, 2012, pp. 81-84.
[4] Vedi citazione supra n. 2.
[5] Esistono varie versione della poesia; quella riportata qui è la più vicina al pensiero dell’autore. Su questa questione vedi le pagine del diario online di Richard John Neuhaus, “September 11 – Before and After”; In First Things, November 2001: http://www.firstthings.com/article/2001/11/september-before-and-after (accesso 31 agosto 2014).
[6] What do we learn from Edith Stein? http://sundayex.catholic.org.hk/node/2290 (accesso 5 settembre 2014).
bellissimo articolo, grazie di averlo scritto; leggerò qualcosa su questa santa che non conoscevo