Natura morta con pesche e susine
Le pesche vellutate e le susine
nel cesto a centrotavola e metà
melone svelano la vanità
dell’esistenza e il senso della fine.
L’aria stantia della cucina è torbida
e quanto più passano le ore fosca.
Spigolosissimo un ronzio di mosca
si insinua. Come intorno al nucleo orbita
spostandosi e spaziando un elettrone
un’altra è intrappolata in un bicchiere,
mentre la prima atterra sul melone.
Le pesche gialle sembrano più rosse
e le violacee susine nere.
Non c’è un teschio, ma è come se ci fosse.
***
Autoritratto con la madre
I panni stesi imbiancano il balcone
tra il bagno di servizio e la cucina.
Lei è seduta al tavolo, ha un bottone
in mano, il lembo di una giacca e il filo.
Io in mano ho una manciata di carrube
e in fondo al cuore una segreta pena.
Oltre di noi altissima una nube
si espande fino a ricoprire il cielo
ottenebrandolo come una cappa,
come l’avvio di un temporale estivo.
Infilza l’ago nel bottone e al dito
due volte attorcigliandolo lo strappa.
Nella tasca una lettera che avevo
scritto per lei ma che non ho spedito.
***
Natura morta con castello di carte
In bilico sul tavolo un castello
di carte si erge per sei piani: accosta
lo sguardo triste delle dame e quello
ancor più malinconico dei jack.
Le carte sono per lo più sul dorso,
alcune rosse, alcune blu. La posta
si accumula. A una mela ho dato un morso
per riprodurre il simbolo del Mac,
in attesa di cogliere il momento
preciso in cui tutto il castello crolli.
Sarà la mosca sulla mela o il vento
che timido si affaccia alla finestra
o la risata isterica del jolly
davanti al sei di fiori in basso a destra?
***
Natura morta con buccia di pompelmo e noci
Mentre sistemo, penso a Sant’Anselmo
e all’id quo maius cogitari nequit.
Fischia l’orecchio e aspetto che dilegui.
Sul tavolo la buccia di un pompelmo,
gusci di noci e schegge di gherigli e
un pezzo intero di pane raffermo.
Nell’angolo la tele e sullo schermo
l’effetto neve. Trovo due bottiglie
piene di un liquido opaco, bluastro
una, l’altra scarlatto: non è vino.
Le accantono. La polvere si posa
su tutto. Il fischio aumenta, mentre incastro
valigie vuote in uno sgabuzzino
e provo nostalgia di dio sa cosa.
***
Paesaggio arcadico
Alti e spaziosi gli alberi in cortile
tremolano rendendo le ombre incerte.
Una lucertola nell’erba avverte
tra un guizzo e l’altro una presenza ostile.
Inesorabilmente l’aria imbruna;
le creste indora dei Lattari il sole;
l’oscurità si infiltra nelle aiuole.
Discutono quattro ragazzi ed una
ragazza si allontana dalla panca,
la spalla nuda, una maglietta bianca
ed il foulard coi teschi di McQueen.
E nonostante si sia fatto scuro
si riesce ancora a leggere sul muro
in fondo al portico il graffito: ET IN.
***
Interno sotterraneo
In così tanta oscurità le sbarre
delle saracinesche dei garage
fanno pensare a tele di Soulages.
Le cantine continuano ad attrarre
ragazzi inquieti e vandali: per terra
accanto ai vetri rotti un estintore
scarico. Un ragno è sull’interruttore
della luce. L’umidità mi afferra
al collo e nonostante ciò non esco.
C’è un’automobile bruciata: in quella
tenebra sembra un teschio gigantesco:
appaiono le cavità nasali
nel simbolo Renault e una mascella
nel paraurti e orbite nei fanali.
***
Natura morta con sigarette
La batteria dell’orologio è scarica:
diventano più lente le lancette
e quindi inaffidabili. Le sette
e venti abbozzano un sorriso triste.
La luce è dolce ma qui si rammarica,
si ostina a rendere le cose nette:
il posacenere, le sigarette,
quest’ultime alla cenere frammiste
e le parole perse in una chiacchiera.
Sul mobile vicino al frigo il latte
ha un buco nel cartone e cola: macchierà
inesorabilmente il pavimento.
Contro lo stipite la tenda sbatte
nel tentativo di afferrare il vento.
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La gradita sorpresa di trovare qualche testo neocrepuscolare sulla scrivania elettronica.
Angiolo Silvio Novaro, Govoni, Gozzano in filigrana, ma sul tavolo della colazione con lattecaffè nella scodella. Ma ti levasti su quasi ribelle.
Che reincontro con se stessi propone la poesia, che trasfigurazione oggettuale non romantica ma letteraria sì.
Le farfalle erano senza fine
leggiadre
Silvia GOI