di Simone Gibertini*
Michele Feo, nato a Banzi (Potenza) nel 1938, allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha insegnato Filologia medievale ed umanistica all’Università di Firenze ed ha presieduto le celebrazioni nazionali del VII centenario della nascita di Francesco Petrarca (2004).
Per il suo settantesimo compleanno il Centro di studi umanistici dell’Università di Messina ha allestito il volume Michele Feo, Térata cioè Cronica della Marca di Dania, Centuria prima, [con una lettera di Vincenzo Fera], Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2009, la raccolta degli articoli che il Feo è andato via via pubblicando dal 1995 al 2009 prima sulla rivista fiorentina «Il Ponte», fondata nel 1945 da Piero Calamandrei, e poi sul «Grandevetro», battagliera testata di Santa Croce sull’Arno (Pisa).
Nei cento capitoli, talvolta brevi, talaltra più articolati, che compongono il libro, il Feo commenta con piglio deciso, con vivacità, con profonda partecipazione emotiva alcuni episodi della vita sociale, politica e culturale dell’Italia degli ultimi vent’anni. Episodi che suscitano rabbia, sdegno, pietà, «che offendono corpo e anima dell’uomo» (p. 13): son questi i “térata” (in greco i ‘prodigi’, le ‘mostruosità’) del titolo. L’Autore non ha la pretesa di correggere gli errori della nostra società, ma li denuncia (non senza una punta di compiacimento letterario) e si sforza di resistere alla barbarie che avanza.
Alcuni esempi. Il capitolo VII tratta del poeta Albino Pierro e del filologo Franco Munari, due figure a torto poco conosciute, che hanno amato visceralmente la parola e per questo sono diventati benemeriti della patria al pari di chi l’abbia servita con l’armi in pugno. Il cap. XIV porta alla ribalta gli errori di alcuni noti uomini politici nella citazione di versi e nella accentazione di parole latine: confessiamo che tali errori, gravi per uno studente o un insegnante di latino, sono tutto sommato perdonabili per un uomo politico; ci indigniamo però a pensare che mentre essi incappavano in questi errori, lasciavano andare letteralmente in malora i nostri musei, i nostri archivi, i nostri monumenti, i nostri siti archeologici, le nostre biblioteche, che dovrebbero essere il vanto della nostra nazione. Nel cap. XV l’Autore ricorda la camicia rappezzata del nonno Francesco, piegato in due nel corpo dal lavoro quotidiano nei campi, ma nell’animo «dritto come un filo a piombo» (p. 41). Nel cap. LI rievoca la tragedia di quei bambini che ancor oggi muoiono sui treni della speranza che vanno dal sud al nord dell’Italia e dedica loro i testi di due struggenti canzoni della cantautrice tedesca Bettina Wegner. Infine il cap. XCIX riporta un fatto di vita quotidiana: in coda all’edicola una signora «sugli ottanta, ben vestita, ben pettinata e dall’aria felice» per ingannare il tempo intona una ninna-nanna toscana provocando i commenti stizziti degli astanti, finanche del figlio, e la reazione da “donchisciotte” dell’Autore, che, ammaliato da quel canto, prima di andarsene, si è «permesso di sfiorarle il viso con una carezza» (pp. 233-234).
Al di là del titolo un po’ ostico, dobbiamo accogliere con favore questo libro del Feo: è bene che i professori delle nostre pubbliche università facciano sentire la loro voce e partecipino al dibattito democratico del nostro paese. Rischieremmo altrimenti di morire annegati nel profluvio dei sermoni dei tuttologi boriosi e saccenti (magari con cattedre nelle università private e confessionali) che imperversano, nostro malgrado, nei salotti televisivi.
*Contributo pubblicato per la prima volta in «MontePiano. Rivista di attualità e cultura», a. VI, n° 61, aprile 2013, p. 49; appare in questa sede per gentile concessione della casa editrice “Studio Nobili”.
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*Simone Gibertini (1980), laureato in Lettere classiche e dottore di ricerca in Filologia greca e latina (XXIV ciclo), è studioso del Petrarca. Già Conservatore del Tempietto del Petrarca a Selvapiana di Canossa (RE) dal 2000 al 2008 e Assistente di biblioteca dal 2003 al 2014, ora svolge attività di ricerca all’Università.