di Fulvio Pauselli*
Quale per fitta selve cavaliere
S’inoltra a seguitar nemico in rotta,
Tale per voi s’intrica il mio pensiero,
Né tregua più non trovo, giorno e notte:
Lo sguardo vostro mi trafisse, o fiera
Guerriera che fuggite l’aspra lotta,
Ma con lo stesso ferro alfin guarite
La più profonda delle mie ferite.
***
Nel fuoco ond’ardo
Si consuma di me la miglior parte,
Tal quale d’immolata
Vittima sull’altare
Dell’idolo crudele
Che fiero amor m’impose d’adorare,
Durissimo signore
Che la mia coppa empì d’amaro fiele.
Tal sorte mi fu data:
In acerbo supplizio supplicare
Pur un vostro per me benigno sguardo;
Speranza disperata
L’attendere infinito in cui m’attardo;
E intanto si diparte
Da me l’età migliore
Ed ogni mia virtù, tutto il valore.
***
La maschera si cela dietro il volto
La notte bianca segue il giorno nero
E tutto quanto è vero capovolto.
***
Or ben comprendo
Che fu mia perdizione
Ma vostra compulsiva perversione
Con molti amoreggiar tutti tradendo
E in lieta crudeltà ferir mentendo.
Talché con aspra doglia alfin m’arrendo
Alla mesta evidenza inesplicabile
Del vostro a me venefico consistere
D’angelico sembiante e cuor di belva,
Turpe madonna mia,
Cui non mi fu possibile resistere,
Girando a vuoto per l’oscura selva,
Cercando al buio la diritta via
Nel groviglio di rovi inestricabile
(Ove solo raccolsi amari frutti
E l’anima saziai di pianto e lutti)
Ove addentrarmi fu tragico errore:
Talché mi rovinai con le mie mani,
Fui preda e predatore,
Come Atteone in caccia
Sbranato dai suoi cani.
Benché però la sorte mia fu cruda
Fu sovrano possesso fra le braccia
Stringervi nuda,
Mia pessima beatrice, o voi matrice
Dei miei fasti mentali,
Che d’arcani pianeti costellate
Lo spazio sacro dei sogni,
Che con pari destrezza dispensate
Baci supremi e mazzate mortali,
Che il bramato, bastarda, lesinate
Sollievo ai miei legittimi bisogni
Spirituali (o lasso!) e materiali…
O voi che per diletto o pura noia
Guida mi foste al baratro infernale,
Tanto cortese amica nella gioia
Quanto jemenfoutiste – ahi – nel dolore,
Dite: fu vero amore
Volervi bene il mio volermi male?
***
La dizione totale
Del sé monologante
Non è finzione o scena
Di commediante
La mestierata prassi
Ma in quale modo eludere potrò
L’attrazione mendace
Del divagar fallace?
Di tutto questo fummo un tempo certi
Del suo contrario siamo fatti esperti
Non ha visione alcuna che conforti
Chi l’alte porte varchi ad occhi aperti.
***
Et in Arcadia ego. Arduo tentare
Per fitti rovi d’afferrare in sogno
Veloci membra in fuga, o belle ninfe
Dei loschi boschi.
Possa la mal sopita mia libidine
Nutrire a lungo un cuore che si sgretola:
Fronte corrusca ad arte per un serto
Di fiori finti.
Ma quali allori cogliere (o fallire),
Salire a passo lento sulla vetta,
Di sasso in sasso ambita solitudine
Di selve e monti?
Prorompi in tutte le mie ossa, o strenua
Certezza di raggiungere la meta:
Salvezza o dannazione le due facce
Della moneta.
Mio bene inestinguibile rovello
(per cui m’intrico e soffro e son beato),
Rosei pallori fra le fronde, o grato
Gravame del gravoso mio fardello
Che tanto stretto stringo fra le braccia:
Le spalle porgo al vostro aspro flagello.
Bel nume alato,
Quale per noi la tua nascosta faccia?
*Fulvio Pauselli, nato a Roma il 19 novembre 1952. Medico ospedaliero. Vive a Roma.