Filosofia/Saggi

Otto Weininger. Appunti per un’introduzione

di Luca Barbirati*

Otto Weininger sul letto di morte

Otto Weininger sul letto di morte

Otto Weininger (Vienna 1880 – ivi 1903, suicida) fu studente di filosofia all’Università di Vienna. Sviluppò la sua tesi di laurea Eros und Psyche nell’opera Geschlecht und Charakter, pubblicata dall’editore Braumüller nel 1903. L’anno seguente lo stesso editore diede alle stampe gli inediti Über die letzten Dinge, una raccolta di articoli, saggi e aforismi curata dall’amico Arthur Gerber sotto lo stretto controllo del padre di Otto. Studente e scrittore, divenne “Weininger” per merito di due necrologi su «Die Fackel», il primo a firma di Karl Kraus, il secondo di August Strindberg, che di fatto imposero nei caffè e nei salotti viennesi il nome del più inattuale dei pensatori del primo Novecento. Fu sufficiente l’intervento della rivista di Kraus per far cambiare l’esito della memoria di questo studente universitario, che era sprofondato nella depressione più cupa dopo l’accusa di pseudoscientificità della sua tesi. I suoi relatori dell’Università giudicarono il suo studio sulla caratterologia sessuale una vera e propria infamia. Ma grazie a Kraus, Weininger divenne ugualmente la stella viennese della critica alla cultura moderna. Un’altra conferma di ciò che disse Tucholsky, nonostante l’intento fosse altro: «l’Austria è un’invenzione di Karl Kraus». Weininger è stato una figura centrale per un’intera generazione di lettori. Non solo per i mitteleuropei Broch, Zweig, Schonberg, Wittgestein, Kafka e Trakl, ma anche per gli italiani Papini, Sibilla Aleramo, i fratelli De Chirico, Saba, Bazlen, Svevo, Prezzolini, Slataper, Gadda e Debenedetti. Per ognuno di questi personaggi si potrebbe scrivere una storia sul loro rapporto con Weininger, anche se è sufficiente ciò che ha ricordato Elias Canetti ne Il frutto del fuoco: il caso Weininger «entrava in ogni discussione». Alberto Cavaglion, nel saggio Weininger, perchè?, scrive: «senza l’enigma-Weininger [è] impossibile decifrare taluni passaggi cruciali della vita intellettuale di questo secolo».

Tuttavia non mancarono i detrattori. Semplificando i termini del dibattito, Weininger fu considerato alla stregua di uno strudel composto di Kant, Platone, Plotino e Sant’Agostino, condito con la Patristica, coi mistici tedeschi e profondamente debitore delle ricerche di Bachofen sulla ginecocrazia nel mondo antico. Freud lo ricevette nel suo studio in Berggasse 19, ma non considerò le sue opinioni degne di essere pubblicate. Sesso e Carattere aveva, per il padre della psicoanalisi, un certo interesse solo come sintomo di una malattia. Weininger come un sintomo geniale. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, altri studenti dell’impero austroungarico ebbero squarci neurotici simili a quelli di Otto, ma le risposte che diedero al proprio logoramento nervoso furono diverse. Wittgenstein sostenne il peso silenzio dopo aver smascherato le leggi dell’afasia; Kafka riuscì a descrivere l’impraticabilità della parola nel Castello, anche se l’intuizione originaria fu di Hofmannsthal (Lettera di Lord Chandos); Michelstaedter indicò la via della persuasione greca, in opposizione alla vita nella «rettorica», anche se segretamente desiderava viaggiare per nave e forse raggiungere l’amico Enrico Mreule in Patagonia; Lukács alla vertigine della rivoltella preferì il sincero compromesso del saggio, descritto in una lunga lettera dell’ottobre 1910 all’amico Leo Popper, e messo in pratica ne L’anima e le forme l’anno successivo; in tale direzione vi è anche il tentativo, splendidamente riuscito, di Walter Benjamin con il suo Passagenwerk.

Alma Mahler a 21 anni (1900)

Alma Mahler a 21 anni (1900)

Weininger, in Sesso e Carattere, ha analizzato i procedimenti di persuasione e di autopersuasione cercando di far fronte allo sfacelo dei valori, che la fine dell’Austria anticipò come microcosmo dell’intero Occidente. Nel 1937, per la voce dell’enciclopedia Treccani, Delio Cantimori ha scritto: Weininger «cerca di stabilire, sulla base di considerazioni metafisiche e psicologiche, una filosofia dei sessi, concepiti come rappresentanti, quello maschile, del principio del buono, del bello, del vero e dell’oggettività; quello femminile, del negativo, del delitto, della pazzia e della soggettività. In ogni uomo ci sarebbero elementi femminili e maschili, positivi e negativi, e la vita umana sarebbe un continuo ondeggiare fra queste due polarità, il tutto e il caos, il cosmo e il nulla». Questa correlazione tra Bene-Uomo-(Cristianesimo) e Male-Donna-(Ebraismo), pur se ancorata su 150 pagine di dimostrazioni storico-letterarie e filosofiche, ha permesso ai posteri di utilizzare lo studente viennese per i fini più svariati, ad esempio: l’anti-freudismo, l’anti-crocianismo, la politica demografica del fascismo, una lettura nazista e non meno una lettura sinistrorsa, un qualcosa di speculare al gramscismo di destra degli anni ’80. Accenno solo alle due accuse più grossolane, quella di antifemminismo e quella di antisemitismo, che pesano su Otto.

L’antifemminismo di Weininger non ha nulla a che vedere con la violenza contro le donne. Il suo  sentimento non si allontana dall’odio di se stesso. Odia il sé femminile. Odia tutte le caratteristiche che imputa alle femmine perché le ritrova dentro di sé. Può pensare e scrivere la frase «la donna non solo è incapace di bene, vale a dire di produrre una volontà autonoma e libera nei suoi fini, ma è essa stessa pluralità», similmente alla confessione epistolare del 1902: «Questo viaggio mi ha dato la consapevolezza di non essere un filosofo. Certamente no! Ma sono forse qualcosa? Ho seri dubbi». L’eco con la proposizione 5.5421 del Tractatus di Wittgestein è delucidante: «Un’anima composta, infatti, non sarebbe più un’anima». Weininger sperimenta su di sé l’esistenza dell’io diviso, plurale e polimorfo, ma in un culmine euforico di rabbia lo imputa alla (sola) donna. Weininger odia il femminile perché il femminile, e tutti i suoi caratteri, compreso la policefalia, li ritrova dentro di sé. Di fronte allo sconvolgimento dell’uomo moderno che contemporaneamente perde il potere sul proprio linguaggio e sul proprio Io, Weininger tenta disperatamente di aggrapparsi per un’ultima volta alla parola piena e forte, che possa recuperare l’unità perduta. Il suo è un grido straziante, ma non è più folle del silenzio. Tutto il Novecento ha tentato di raccogliere i cocci di questa frantumazione austriaca, oscillando tra l’angoscia e il delirio. In tale senso, sono sterili le interpretazioni in chiave maschilista fatte da Papini & co., poiché nulla vi è di più lontano del virilismo latino dalla figura di Weininger. Ciò che ha sentito dentro di sé è qualcosa che con difficoltà è stato pronunciato chiaramente prima. Weininger ha odiato il femminile come simbolo della vita che ha percepito frantumata dentro di sé. Weininger ha odiato l’ambiguità di questa vita. Come ha suggerito Jacques Le Rider, vale per Weininger ciò che Alma Mahler ha scritto nel proprio diario sul marito Gustav: «Era un celibatario e temeva la femmina. La sua paura di essere portato in basso era sconfinata, e così evitava la vita, dunque il femminile». E in sintonia con l’asessualità weiningeriana, nel 1911, Egon Schiele dipinge Masturbazione, che come ha notato Eva Di Stefano «non ha nulla a che vedere con il languoroso, estatico appagamento che permea i disegni erotici di Klimt […] è al contrario un atto della desolazione e dell’inerzia che somiglia a un supplizio autoinflitto».

Edmund Engelman, Veduta dello studio di Sigmund Freud, Berggasse 19, Vienna (1938)

Edmund Engelman, Veduta dello studio di Sigmund Freud, Berggasse 19, Vienna (1938)

Parimenti all’antifemminismo, l’antisemitismo di Weininger ha a che fare con qualcosa di interno e non di esterno. Il suo antisemitismo non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo metafisico di Evola. L’odio dell’altro è e rimane odio di sé. E l’odio di sé ebraico è un tema molto importante quanto taciuto. Una sorta di antisemitismo semita è stato, durante la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un fatto concreto che, pur tristemente, riguardò molti intellettuali europei. Per citare gli italiani più noti: Italo Svevo, Giacomo Debenedetti e Umberto Saba. Il loro umore autolesionista fu segreto ma presente, non solo negli epistolari privati, bensì nelle loro opere maggiori. In questa corrente di dissidenza interiore, di profonda contraddizione morale, intellettuale e religiosa, si deve inserire anche Weininger e la sua Opera. Nato e cresciuto nell’ambiente dell’ebraismo assimilato la sua distanza dall’ebraismo orientale avvenne come critica rispetto all’ambiguità che egli sperimentava, a differenza della solidità della cultura tedesca da cui era attratto. A titolo esemplificativo è sufficiente ricordare che il padre di Otto era wagneriano, kantiano e ammiratore di Goethe, il quale è anche la figura centrale del capitolo sul talento e genialità in Sesso e Carattere, assieme a Kant e Schopenhauer. Tale antisemitismo non si può tacere all’interno della comunità ebraica assimilata. Un nome basterà, non per alleviare le colpe di Weininger, se ci sono state, bensì per evidenziare l’esistenza di questa contraddizione in seno alla cultura del popolo eletto: Walther Rathenau. L’ebreo condannato da Weininger è il distruttore di limiti, è lo scienziato anti-filosofico, che come Freud (con l’inconscio) e Wittgenstein (con le ricerche post-Tractatus) sonda e fa emergere l’ambiguità, la dualità e la molteplicità dell’uomo. Weininger è contrario a questa scienza, e si schiera sul fronte opposto in favore di un ritorno all’unicità. È questa la sua battaglia. E Weininger è stato pronto ad abbandonare la stessa ragione per la religione. Negli Ultimi aforismi fa propria una citazione neotestamentaria, che rappresenta un riverbero dell’ansia dell’uomo moderno: «Quando il sole si oscurò, Cristo si sentì venir meno; allora disse: Dio, perché mi hai abbandonato?».

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luca-barbirati-presso-la-trattoria-alla-cerva-vittorio-veneto-treviso-maggio-2014-11*Luca Barbirati nasce a Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, il 6 marzo 1990. Diplomato al Collegio Vescovile “Dante Alighieri”, frequenta a Udine, senza laurearsi, la facoltà di giurisprudenza. Vive a Firenze.

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